tag:blogger.com,1999:blog-141081122024-03-08T05:29:09.239+01:00mario bertola: diario e memoriele memorie di mario e della sua lotta contro l' acna e per una valle bormida vivavalbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.comBlogger15125tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1120222076192518782005-09-23T14:43:00.000+02:002005-11-09T16:12:16.260+01:00una voce dalla strada:pagine di un diario - prefazione<a href="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/1600/foto%20centro1.jpg"><img style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/320/foto%20centro1.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"><em>Questo che segue non è un romanzo né una favola, così pure io che scrivo non sono uno scrittore ma un semplice cittadino della Valle Bormida, come mille altri, che nato in un paese a pochi km dall'ACNA di Cengio, ho vissuto la mia vita tra lavoro, famiglia e proteste.<br />E' una semplice pagina di diario che racchiude una storia personale, una testimonianza di quelle che non si possono raccontare ai nipoti perché non la capirebbero ancora e neanche ai figli perché rischierei di annoiarli.<br />Ho intitolato questo scritto “una voce dalla strada” perché è una voce qualunque, una voce che viene dal basso, una voce che può uscire dalla bocca di un cinquantenne qualunque che incontri per strada in Valle Bormida.<br />"Una voce dalla strada" perché qui racconto la prima volta che sono sceso in strada cercando di far sentire la mia voce (aprile 1957).<br />Contrariamente a tutto il resto del mondo che per protestare scende in piazza, noi, in Valle Bormida, per protestare, da oltre cento anni, scendiamo sulle strade.<br />Forse perché le nostre piazze sono troppo piccole o forse perché sono troppo lontane da Roma. </em></div><em></em><br /><p><em></em></p><p><em></em></p><p><em></p></em><div align="justify"></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1127491827372975862005-09-22T18:08:00.000+02:002005-11-09T16:28:54.630+01:00cap. 1 una voce dalla strada<div align="justify"><strong><em>Mi chiamo MARIO BERTOLA e sono un semplice abitante della valle BORMIDA.<br />Sono nato e vissuto in un piccolo paese distante appena 18 Km dall'ACNA di Cengio.<br />I ricordi della mia infanzia incominciano dai primi anni del dopo guerra. La mia era una famiglia di contadini, la mia casa situata sopra un altipiano a metà collina, davanti ad essa una grande aia in cui giocavo con i miei due fratelli più grandi tra galline, tacchini e conigli. In un angolo un grosso albero di pero, alto, superbo, maestoso. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Quella pianta mi ritorna in mente ogni volta che penso alla mia infanzia e per me era una compagna di giochi: era come un amico con cui confidarmi nei momenti di sconforto, quando tutti sembravano avercela con me. Mi rifugiavo sotto i suoi rami a riflettere e parlavo astrattamente con lei.<br />Poco più in fondo al cortile c'era la stalla, con una coppia di buoi da lavoro che il nonno curava come fossero persone umane. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Vicino alla stalla c'era anche un ovile con cinque pecore e sovente toccava a me portarle al pascolo. Dal fondo del cortile incominciavano i terrazzamenti con i filari di vite, alternati da piante di gelso.<br />Il panorama che si poteva osservare era meraviglioso: Gorzegno,il mio paese, era raggruppato giù a valle. Poche case dai tetti in pietra e la chiesa, al centro di queste, si distingueva col suo alto campanile.<br />Il Bormida, con le sue acque marrone scuro, che girava attorno al paese.<br />In famiglia eravamo in tutto sette persone: io, due fratelli maggiori (Giovanni e Giuseppe), i miei genitori (Marcellina e Luigi), il nonno materno (Luigi) e una vecchia zia che tutti chiamavamo madrina.<br />Il capo famiglia era il nonno, da tutti chiamato Vigiotu. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Era lui che prendeva le decisioni sulle cose da fare per gestire l'azienda agricola. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Lo faceva, però, in modo democratico consigliandosi e discutendone con mio padre e mia madre.<br />Le decisioni più importanti si prendevano alla sera, mangiando cena o stando a vegliare.<br />Era in quei momenti che si programmava il lavoro da farsi all'indomani e si parlava dei problemi passati e presenti.<br />Il discorso cadeva spesso sui tristi ricordi della guerra e sempre più sovente si parlava di quella fabbrica maledetta “la Montecatini" e sulle conseguenze che essa causava alla nostra valle.<br />Particolarmente, ricordo bene una sera che venne un vicino di casa a trovarci: mio padre, come sempre in quelle occasioni, arrivò dalla cantina con una bottiglia di vino nero con attorno al collo un filo di lana colorata che probabilmente stava ad indicare l'annata o la qualità. Tolto il tappo ne versò un dito nel bicchiere e dopo averlo annusato lo assaggiò a piccoli sorsi. Vidi subito mio padre trasformarsi: da tranquillo e allegro, come solitamente era, diventò nervoso, incominciò a mugugnare e rivolgendosi a mio nonno disse con voce dura ma pacata: «basta ... a cominciare da quest'autunno togliamo tutte le viti, non possiamo continuare a lavorare tanto per poi buttare via tutto. Questo non è vino questo è acido fenico!».<br />Per un lungo attimo tutti stettero zitti, nessuno osò fiatare.<br />Mia madre, alle prese con i piatti (in un lavello scavato da una pietra), si girò a guardare, la vecchia zia che sonnecchiava appoggiata allo schienale di una sedia alzò la testa, mancavano solo i miei fratelli, usciti ad attingere un secchio d'acqua dalla cisterna.<br />Il nostro vicino di casa stava per dire la sua, ma il nonno prese la parola e con voce pacata ma grave disse rivolto a mio padre: «le viti non si toccano non è quello il modo di risolvere il problema. Dobbiamo unirci tutti assieme con gli altri paesi e protestare, siamo usciti dalla guerra e adesso non sarà la Montecatini a mandarci in malora! non dobbiamo permetterglielo».<br />Per quella sera non si parlò d'altro.<br />Pure mia madre era preoccupata perché quando faceva “lescia" non poteva più andare a risciacquare la biancheria nel Bormida.<br />“Lescia" (per chi non lo sa) era un modo di lavare la biancheria quando ancora non esistevano i detersivi e in casa non si aveva ancora l'acqua dai rubinetti.<br />Si accumulava la biancheria, la si metteva dentro dei tini di legno e si ricopriva con della cenere, quindi si aggiungeva acqua che filtrava e usciva di sotto.<br />Il procedimento durava qualche giorno, dopo di che la biancheria si tirava fuori e si andava a risciacquare al fiume, nell'acqua corrente.<br />Io aspettavo sempre con gioia il momento in cui si faceva lescia, per poter andare col carro tirato dai buoi al fiume e lì, mentre mia madre risciacquava la biancheria, andare a giocare lungo il Bormida con i miei fratelli.<br />Pensandoci mi sembra di sentirlo ancora adesso quell’odore che mi penetrava nel naso e pizzicava la gola.<br />Quell'acqua rossa colore del vino per me era normale, l'avevo sempre vista così e non riuscivo ad immaginarla diversamente.<br />Quell'odore di medicina lo confondevo con l'odore dello sciroppo che il dott. Torcello mi faceva prendere per curarmi la tosse.<br />Nei giorni che venivano, si parlò sempre più sovente del fiume e della fabbrica.<br />In paese si tennero riunioni alle quali partecipavano anche le donne, con appresso i bambini.<br />Io non ho mai partecipato a quelle riunioni ma ero sempre informato di tutto, so che si parlava di una manifestazione: allora la chiamavano sciopero.<br />Ricordo che si parlava di un certo onorevole Giulitti, ma mio padre e mio nonno non credevano in quelle persone, dicevano (per esperienza) che si sarebbero fatti vedere solo quando c'erano le votazioni per prendere un po’ di voti poi si sarebbero dimenticati di noi.<br />I comizi in piazza me li ricordo bene!<br />Quando alla domenica mattina dopo la S. messa “granda”, un signore distinto nel vestire saliva su di un palco improvvisato e lì si metteva a urlare a squarciagola contro la fabbrica di Cengio, contro il Bormida che puzzava di fenolo, e lì.....giù a fare promesse!<br />Alla fine la gente batteva le mani e quando il signore ben vestito scendeva dal palco, incominciava a stringere mani a destra e a sinistra.<br />Alla domenica la nostra famiglia si trasformava, non si parlava più di lavoro: al mattino mi svegliavo e sentivo un buon odore di brodo provenire dalla cucina dove stava bollendo una gallina.<br />Papà “VIGI” (Luigi) stava già suonando il clarino, la sua grande passione; il nonno già arrivato dalla prima messa, con la sua camicia di tela bianca con sopra il panciotto nero, seduto sullo scalino di pietra davanti all'uscio di casa leggeva senza occhiali la "GAZZETTA D'ALBA".<br />La prima ad essere consultata era la pagina dove c'erano i mercati con i prezzi dei vari prodotti agricoli, poi cercava l'articolo sulla "Montecatini" e lì incominciava a sbuffare.<br />Quasi tutte le settimane c'era un articolo sulla valle Bormida, ma se una volta il giornalista sembrava dare ragione ai contadini, evidenziando i danni provocati ai pozzi e ai prodotti agricoli, la volta dopo minimizzava tutto e sembrava condannarne le proteste in programma.<br />Questi cambiamenti d’opinione mandavano in furia mio nonno e i miei compaesani che sempre più spesso parlavano di sciopero con carri tirati da buoi.<br />Tutto ormai era quasi pronto, anche la data era stabilita.<br />Il nonno e mio padre ci spiegavano il programma.<br />Saremmo andati tutti, a casa nostra dovevano restare solo le donne.<br />Avremmo attaccato il carro più lungo, con sopra un lenzuolo di fieno per dare da mangiare ai buoi durante la sosta sulla strada.<br />Prima di partire avremmo dovuto abbeverare i buoi e pulirli con la "stria" e la "panadura".<br />Il nonno spiegò a me e ai miei fratelli che sarebbe stato diverso dall'andare ad una fiera, che non ci sarebbe stato il carretto dei gelati o l'osteria col profumo di trippa. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Noi saremmo dovuti stare a turno davanti ai buoi e non allontanarci troppo dal carro. L'unica persona in famiglia non del tutto convinta era mia madre, più che altro penso fosse preoccupata perché tra gli organizzatori di quella protesta c'era un certo on. Giulitti, che era del partito comunista.<br />Mia madre non vedeva di buon occhio i comunisti, lei era più vicina alla Democrazia cristiana e proprio la D.C era contro il movimento e chiamava comunisti tutti quelli che erano a favore dello sciopero.<br />Non ricordo la data ma mi sembra fosse un sabato dei mese di APRILE: il grande giorno era arrivato.<br />L'appuntamento era per l’una del pomeriggio giù sullo stradone in fraz. Moglie.<br />Già a mezzogiorno, per le strade di campagna che portavano al paese, si sentiva un gran vociare e il rumore dei carri che scendevano a valle.<br />Era giunta l'ora anche per noi di attaccare i buoi al carro e partire.<br />Mio padre mise sul carro oltre al fieno anche due coperte di stoffa a quadretti, unte e malandate: servivano a coprire i buoi in caso di pioggia e per ripararli quando erano sudati. La salute degli animali era importante quanto quella dei cristiani....<br />Verso le tre del pomeriggio, il tratto di strada lungo circa 3 km che separa la borgata Gisuole dalla fraz. Costa di Gorzegno era tutta piena di buoi coi carri e di tanta gente a piedi, alcuni anche in bicicletta.<br />Vecchi, uomini, donne e bambini. C'era anche un signore anziano con un caprone legato ad una corda che portava in giro tra i carri: il caprone emanava una puzza terribile e al suo passare la gente rideva e lanciava battute scherzose.<br />Tutto era tranquillo e aveva l'aspetto di una grande festa.<br />I bambini a gruppi improvvisavano giochi, le donne si raccontavano problemi e pettegolezzi, non mancavano alcune coppiette che cercavano di distogliersi dallo sguardo dei manifestanti.<br />C'era poi un giovane sui 20 anni con una moto, che per farsi notare dalla gente si mise a scorazzare avanti e indietro per una strada sterrata vicino allo stradone, finché ad un certo punto cascò per terra fra le risate di tutti.<br />Ad un certo punto arrivò la corriera, dovette fermarsi, ed io, ebbi così modo di vederla finalmente da vicino.<br />Fino a quel giorno la vedevo sempre da casa mia passare per lo stradone: blu, col muso lungo, sulla capotta c'era una ringhiera con il posto per le valige e sul retro una scaletta per salirci sopra. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Sembrava una diligenza che si vedono nei film western.<br />Non ricordo se riuscì a passare o se si fermò lì fino a notte.<br />Ricordo che sul tardo pomeriggio la gente incominciò ad agitarsi e si ammassò presso una macchina che arrivava da Cengio: pare fosse un dirigente della Montecatini oppure uno mandato appositamente a provocare. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Volò qualche parolona e qualche imprecazione ma alla fine tutto fini per il meglio.<br />Io dovetti restare quasi sempre vicino ai buoi, così non riuscii a seguire i vari comizi improvvisati.<br />Ricordo di aver visto tanti carabinieri e gente forestiera, ben vestita, che girava tra la gente e faceva domande.<br />Penso fossero giornalisti o curiosi venuti da fuori.<br />Il pomeriggio era passato velocemente e si stava facendo buio, ma la strada era ancora piena di carri e buoi, ed era ormai notte quando, a poco a poco, la strada si liberò.<br />La gente tornò a casa stanca, arrabbiata, con qualche speranza in più, ma senza farsi troppe illusioni.<br />La sera, da noi, non si parlò d'altro che di quella giornata: mio padre e mio nonno, che conoscevano quasi tutti, facevano la conta delle persone che avevano partecipato e facevano nomi di persone venute da Levice, da Torre Bormida e persino da Cortemilia.<br />Purtroppo, ben presto, arrivò un altro elenco in paese con 54 nomi e cognomi di persone di Gorzegno e Levice: i contadini e alcuni politici dovevano essere processati per la sola colpa di essersi battuti in difesa dei loro diritti e della loro terra.<br />Non hanno usato violenza, non hanno usato modi illegali, volevano semplicemente far sentire la loro voce a chi di proposito non voleva sentirla.<br />Non so con quale criterio scelsero quei 54 nomi fra la marea di gente presente in strada quel famoso giorno.<br />C'é chi dice abbiano preso uno per famiglia.<br />Io so per certo che nella mia famiglia gli imputati erano due: Troia Luigi, classe 1883, e Bertola Luigi, classe 1912, rispettivamente mio nonno e mio padre.<br />Questo fatto scosse non poco la tranquillità della famiglia.<br />Il dover affrontare un processo non era cosa da poco e il fatto che fosse tutto il paese coinvolto non tranquillizzava più di tanto i miei vecchi.<br />Durante l'attesa del processo si parlò anche di amnistia (parola di cui, a quei tempi, non conoscevo il significato), ma questo servì solo ad aprire le porte delle carceri a varie categorie di delinquenti.<br />Ma a quei 54 poveretti il processo si doveva fare e col processo arrivò anche la condanna.<br />Il giorno del processo, per noi che restammo a casa, fu un giorno di grande attesa e agitazione: mia madre girava avanti e indietro e non riusciva a combinare niente di buono, il tempo sembrava non passare più.<br />Tornarono a casa condannati ma a testa alta e si leggeva nei loro volti non rabbia ma addirittura serenità.<br />Fu mio padre il primo a parlare, a spiegarci che per lui non contava la condanna, ma contava la sua coscienza, e lui la coscienza ce l'aveva pulita perchè la causa per cui si era battuto era giusta: si diceva pronto a rifarlo.<br />Nessuno in casa aprì bocca a quelle parole.<br />Anch'io rimasi in silenzio e incominciai a riflettere.<br />Pensai all'ingiustizia che dovevano subire quelle persone condannate, pensai alla fabbrica che continuava a mandarci giù veleni e al suo potere di far tacere interi paesi. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Pensai a quegli operai che quando scendevano dal pulman che li riportava dal lavoro, avevano un volto giallastro e puzzavano di medicina. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Pensai ancora a mia madre che non poteva più andare al fiume a risciacquare il bucato.<br />Tutti questi pensieri me li portai dietro anche durante la notte e nei giorni che seguirono e fecero nascere in me una sensazione nuova che non sapevo descrivere, non so se paura, odio o voglia di vendetta.<br />Forse era tutto quello assieme.<br />Al tempo del processo avevo tredici anni e sentivo forte la voglia di evadere, di cambiare vita e di ribellarmi a quella triste situazione.<br />Incominciai a fare domande su quella fabbrica, prima ai miei fratelli, poi a mio padre e mio nonno. Ne parlai con gente di fuori dalla famiglia, tutti erano consapevoli della gravità del problema, tutti si preocupavano per il danno che quella fabbrica arrecava ai prodotti della nostra terra.<br />Quei poveri contadini, miei compaesani, dopo quell’ultima esperienza, sembravano rassegnati. Continuavano a lavorare sodo la propia terra, estirpando le vigne lasciando solo il necessario per il consumo famigliare.<br />Ricordo con tristezza quei lunghi filari di viti, su quei lunghi muri di pietra a secco che giravano seguendo il crinale delle colline. Ognuno aveva il propio nome; “la firagnà dla .salvia,....er firàgn di vutei......er firagniun......”.<br />Nel giro di pochi anni le piante di vite sono state estirpate lasciando sole le piante di gelso che servivano per l’allevamento dei bachi da seta.<br />La mia famiglia, per l’insistenza di mio nonno, è stata una delle ultime a rassegnarsi ma alla fine la nostra uva non la comprava più nessuno e il vino, l’estate sucessiva alla sua fermentazione, scorreva giù nel prato adiacente alla cantina, inebriando la terra e facendo rabbrividire tutti noi della famiglia.<br />A lunghi periodi di silenzio e di rassegnazione, si alternavano periodi in cui il caso riesplodeva con tutta la sua drammacità.<br />Ogni tanto saltava fuori in valle qualcuno che veniva a parlare nelle piazza o nei saloni parocchiali. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Persone decise che sembravano pronte a tutto, anche a sacrificarsi per la “causa”.<br />Incominciavano ad imprecare contro la Montecatini (ACNA) e battevano i pugni sul tavolo. La gente ascoltava attenta e nelle mie viscere si sprigionava la voglia di vendetta. Ogni volta dicevo a me stesso che forse sarebbe stata la volta buona, ma purtroppo quell’illusione durava solo quanto un fuoco di paglia e quei personaggi finivano come una bolla di sapone.<br />Imparai così a non credere più al primo arrivato, e a non giudicare la capacità e la sincerità delle persona dal tono della voce.<br />Davo invece sempre di più fiducia a quei 54 miei compaesani che erano stati condannati per il solo fatto di aver urlato i loro diritti dal bordo di una strada, e apprezzavo sempre di più le parole di mio padre: «mi sono battuto per una giusta causa, sarei pronto a rifarlo».</em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1127489190360885982005-09-21T18:20:00.000+02:002005-11-10T09:11:45.823+01:00cap. 2 la rinascita<div align="justify"><span style="font-size:180%;"><strong>LA RINASCITA</strong></span></div><div align="justify"><br /><strong><em>La piccola utilitaria, stracolma di bagagli e con la famiglia al completo, percorreva gli ultimi metri sulla vetta della collina, prima di addentrarsi giù dalla discesa che da Cravanzana porta a valle.<br />Sentii nei miei polmoni un’aria dolce, rilassante: un’aria di casa mia.<br />La strada si faceva stretta, tutt’intorno una ricca vegetazione formata da alberi e rovi. Di tanto in tanto, qualche povera casa di contadini.<br />Dentro di me scoppiavo di orgoglio e di gioia: non era certo merito del paesaggio che, anzi, era abbastanza desolante, triste.<br />Era povera quella valle in cui ero appena entrato….però era la mia valle, la valle Bormida.<br />Ci tornavo sovente, mi sono chiesto tante volte il perché, ma mi sentivo legato a quella terra e non potevo scrollarmela di dosso.<br />Quella sera era diverso, ci sarei rimasto, mi sarei sistemato con la mia famiglia nel piccolo paese che mi aveva visto nascere, tra la mia gente, e il mio cuore cantava di gioia.<br />Certo non era più la valle di una volta: quella macchia selvaggia di verde, che copriva le cime delle nostre colline, era discesa sempre più in basso, inghiottendo quei bei muri in pietra e quei filari lavorati come enormi giardini.<br />Molte case, in campagna, ma anche in paese, avevano la luce spenta.<br />La gente se n’era andata, alcuni in cerca di fortuna, la maggior parte semplicemente per guadagnarsi da vivere.<br />La terra non rendeva più, quello era un problema generale, ma nella nostra valle la situazione era peggiore: i nostri prodotti sapevano di acido fenico e altro lavoro non ce n’era.<br />I miei figli, come me, fecero i loro primi passi e le loro prime esperienze su quella terra.<br />Nel tempo libero mi dedicavo a loro e il nostro passatempo preferito erano le lunghe passeggiate per la campagna.<br />Quando il tempo a disposizione era sufficiente, si arrampicavamo fin su dai nonni, e lì i ricordi e le cose da raccontare erano veramente tante.<br />Un’altra meta ricorrente era la “pianca” (passerella) sul Bormida, che dal vecchio mulino portava alla frazione dei sergenti.<br />Quella passerella era fatta di tronchi e assi di legno, legati assieme con chiodi e fili di ferro.<br />Era una lotta continua che l’uomo faceva con il fiume.<br />Ogni temporale violento o autunno piovoso, il fiume si ingrossava e se lo portava via.<br />Attraversavamo quel rudimentale e traballante ponticello in fila indiana, tenendoci per mano e cercando di evitare movimenti bruschi.<br />Dall’altra parte, un piccolo muretto in pietra ombreggiato da un alto salice, ci offriva un posto ideale per riposarci guardandoci attorno.<br />Era quello il momento della riflessione e delle domande. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Sebbene semplici e ingenue, non sempre mi era facile rispondere.<br />Così un giorno ho dovuto spiegare loro perché l’acqua che scorreva sotto quel ponte era così nera e schifosa da fare ribrezzo solo a vederla, e il suo odore così acre che ti entrava nel naso e attaccava la gola, attraversando tutto il corpo lasciandoti il gelo dentro.<br />Dovetti confessare ai miei figli, con tanta vergogna in cuore, che quell’acqua era già così nera e puzzolente quando ero bambino io e ancora prima quando mio padre, ragazzino, l’attraversava ogni sera per andare a lezione di musica.<br />Raccontare quelle cose ai miei bambini non mi esaltava per niente, al contrario mi sentivo imbarazzato, quasi che la colpa di tutto quel disastro fosse mia.<br />«Ebbene sì, la colpa di tutto quello scempio è anche in parte mia, del mio silenzio, della mia rassegnazione», mi ripetevo ogni volta che mi fermavo a riflettere fissando con lo sguardo il Bormida.<br />Sentivo dentro di me il bisogno di fare qualcosa ma ero impotente, guardavo negli occhi i miei figli e capivo che almeno dovevo provarci, come ci provò mio padre e come ci provò mio nonno.</em></strong></div><p><br /><br /></p><p><a href="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/1600/foto%201%20jpg3.JPG"><strong><em><img style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/320/foto%201%20jpg3.JPG" border="0" /></em></strong></a><strong><em><br />Estate 1987<br /><br />Giornali e televisioni davano sempre più spazio ai problema dell’ambiente.<br />Si parlava spesso del “buco dell’0zono” e dell'inquinamento della terra e dell’atmosfera. </em></strong></p><p><strong><em>Nell’estate del 1987, la RAI, in un programma dedicato all’ambiente, invitò i telespettatori a segnalare casi di degrado ambientale, in modo da poter realizzare e trasmettere un servizio.<br />Alcuni giovani di Vesime raccolsero al volo quell’invito e segnalarono il caso del Bormida, e l’inquinamento dell’intera valle.<br />La RAI venne in valle a girare un servizio che in seguito mandò in onda.<br />Questo bastò a riaccendere quella fiamma, mai del tutto sopita, che era dentro a tanti di noi.<br />Io fui avvertito dall’allora sindaco di Gorzegno, Alessandro Gallesio, che a Cortemilia si sarebbe ritrovato un gruppo di persone per parlare del problema della valle, e mi invitò a partecipare anche a nome suo.<br />Non mi feci ripetere un’altra volta l’invito, e subito mi attivai per liberarmi dagli impegni lavorativi.<br />Mi presentai all’appuntamento con mille incognite nella mia testa: non avevo idea di chi avrei trovato, non sapevo neanche il luogo esatto dove si teneva l’incontro.<br />Conoscendo molto bene Cortemilia, andai per intuito: non trovando nessuno nel Comune e neanche nell’oratorio, andai direttamente verso la salita dell’ex convento francescano.<br />Camminavo pensando a quei comizi degli anni addietro, quando l’oratore batteva i pugni sul tavolo e si faceva ingrossare l’arteria del collo.<br />Entrai nel salone, titubante, quasi in punta di piedi e rimasi sorpreso nel trovare solo poche persone, sedute a cerchio, senza nessuno in centro a fare da oratore.<br />Tutti potevano parlare, come si parla in un bar quando l’argomento si fa interessante. Alcune di quelle persone le conoscevo già, almeno di vista, altre non sapevo chi fossero.<br />C’erano i due giovani di Vesime che avevano fatto venire la RAI, qualcuno di Bubbio e di altri paesi verso Acqui Terme.<br />Alcuni, come me, stavano solo a sentire attentamente in silenzio, altri erano molto ben documentati con fogli e articoli di giornale alla mano, e tiravano fuori dati e notizie per me nuove, nonostante credessi di essere aggiornato sull’argomento.<br />La discussione andò avanti per tutta la serata e ne uscì un punto fermo e chiaro per tutti: bisognava essere uniti, unire le proprie forze, le proprie idee, le proprie esperienze. Bisognava portare altri amici, parlare con la gente, ma sopratutto sentire la gente.<br />Lo scopo era di combattere l’inquinamento e il degrado della valle Bormida e, di conseguenza, combattere la fonte di tutto quello, che era solo e da sempre l’ACNA di Cengio.<br />Combattere l’inquinamento e recuperare il nostro fiume, per avviare la rinascita della nostra valle.<br />Così quella sera d’agosto, nel vecchio convento Francescano di Cortemilia, con una semplice chiacchierata tra amici, nacque una nuova associazione che prese il nome proprio da quell’impegno.<br />Nacque l’Associazione Rinascita Valle Bormida.</em></strong> </p>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1127491961160693802005-09-20T18:11:00.000+02:002005-11-10T09:20:23.383+01:00cap. 3 marcia su Cengio<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">MANIFESTAZIONE A CENGIO<br /></span><br />Erano da poco passate le sette del mattino, in casa era già tutto in movimento, così decisi di alzarmi anch’io per rendermi conto dell’umore che regnava in famiglia a quell’ora strategica in cui i miei figli dovevano partire per la scuola.<br />La giornata di studio che avevano davanti non li entusiasmava, ma non per questo mancò l’occasione per qualche battuta e qualche giochetto al volo.<br />Presto la casa fu vuota e silenziosa e, poiché non riuscivo a concentrarmi, andai dritto nei boschi, sul bricco delle Pianelle.<br />Da sempre, passeggiare nei boschi mi apre la mente e mi stimola il pensiero.<br />Quella mattina ero libero fino a mezzogiorno e oltretutto, nei boschi e in quel periodo, c’era la possibilità di trovare qualche “porcino”.<br />Camminando tra le felci e le foglie secche pensavo alla sera prima, a quella chiacchierata tra amici e all’impegno preso per far rinascere la nostra valle.<br />Come spesso capita nei nostri paesi di campagna, è più facile incontrare una persona pei boschi che non sulla piazza del paese….infatti, sentito un fruscio, notai poco lontano una di quelle persone che nel nostro paese sono “intrigate” un po’ in tutto, e che sa tutto di tutti. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Lo informai con entusiasmo di quello che stava nascendo in valle, del movimento appena nato per controllare l’Acna.<br />Mi aspettavo una parola di plauso, d' incoraggiamento, invece mi guardò con un’espressione di commiserazione , e scrollando la testa mi disse in dialetto gorzegnese: «scaudeve nant er pisc, tant èradisci nant……chila a cata teuc», che vorrebbe dire: non scaldatevi il piscio, tanto non riuscirete a farvi le vostre ragioni, quella (l’Acna), compra tutti.<br />Ripresi il mio cammino un po’ deluso, quel compaesano che avevo appena incontrato, non mi aveva detto niente di nuovo, ma al contrario, una vecchia verità.<br />Mi preoccupava però quella rassegnazione che ho trovato in lui e in tanti altri.<br />Per fortuna non tutti in valle la pensavano così.<br />Alle riunioni successive la partecipazione aumentava a dismisura, almeno una persona per paese era sempre presente e le serate furono sempre più animate.<br />Con il mese di ottobre la neonata “Ass. per la Rinascita Della Valle Bormida” si attivò in numerose iniziative. Partirono le prime delibere, si incontrarono Assessori regionali, liguri e piemontesi, e si cercò il dialogo con il sindacato.<br />Incominciarono pure le prime proteste, a Monastero Bormida, in data 8 Novembre 1987, il 94% degli elettori non si presentò alle urne, reagendo alla scelta del governo di mantenere le produzioni dell’Acna.<br />Il 22 Novembre dello stesso anno si recarono a Cengio un gruppo di 600 persone che manifestarono per le vie del paese chiedendo ad alta voce: «vogliamo l’acqua pulita! ».<br />I partecipanti al corteo portavano con sé un solo striscione con sopra scritto: «Delegazione organizzatrice delle prossime proteste».<br />Era solo l’inizio di una grande protesta, era un messaggio, un preavviso che se non si fossero presi provvedimenti, la popolazione avrebbe reagito con tutte le forze legalmente disponibili.<br />Pochi giorni dopo quella prima manifestazione arrivò sulle nostre teste una grave dichiarazione dal Consiglio dei ministri: la valle Bormida venne dichiarata “Area ad elevato rischio di crisi ambientale”.<br />Quel triste marchio peggiorò ulteriormente l’immagine e l’economia della nostra valle e nello stesso tempo diede una spinta a smuovere quelli fra noi che ancora erano titubanti e stavano a guardare dalla finestra.<br />Continuarono così, in modo sempre più serrato, le iniziative contro quel mostro chimico: si organizzarono incontri con Consiglieri regionali, si fecero riunioni con i sindaci della valle, si svolse anche un incontro tra gruppi di Parroci della bassa ed alta valle Bormida.<br />Il 5 Marzo 1988 si organizzò a Cortemilia un convegno con tutte le Comunità Montane interessate, sul tema: «Valle Bormida - un progetto per la rinascita».<br />In quell’incontro si formularono alcune proposte ambiziose, ma per realizzarle si giudicò inevitabile la chiusura dell’Acna.<br />Intanto era stata fissata la data del 20 Marzo per una grandiosa manifestazione a Cengio.<br />Lavorai tanto anch’io per quella manifestazione, preparai striscioni, appesi manifesti, partecipai ad incontri.<br />Ci tenevo tanto a marciare per le vie di Cengio, poter urlare contro quella fabbrica della morte. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>L’ultima volta che avevo preso parte ad una manifestazione avevo appena undici anni e dovevo stare vicino ai buoi. </em></strong><strong><em>Quella volta capii la gravità della cosa guardando in volto mio padre e il nonno: quel 20 Marzo 1988 sarebbe stato diverso, avrei manifestato per difendere un mio diritto, avrei urlato la mia rabbia per vendicare il nonno, morto ormai da venticinque anni, il quale era stato condannato ingiustamente. Avrei urlato con tutto il fiato che avevo in gola, in modo che, tornato a casa, avrei potuto guardare negli occhi i miei figli senza vergognarmi.<br />Tutto era ormai pronto: nei bar, nei mercati, davanti alle chiese non si parlava d’altro. I muri erano tappezzati di manifesti e lungo la statale apparvero anche alcune scritte in vernice con slogan contro la “fabbrica della morte “.<br />E il grande giorno arrivò: mi alzai dal letto in un bagno di sudore, le gambe non mi reggevano in piedi e la testa mi girava. Non so per quale malefico destino, ma avevo buscato una terribile influenza. Dovetti tornare a letto e rinunciare al pranzo. Stavo male per l’influenza ed ero a terra con il morale. Non potevo partecipare a quella manifestazione. Dalla finestra in fondo al corridoio, guardando in alto, vedevo la curva che la statale faceva uscendo dalla galleria. Erano circa le 13,30 quando il primo pullman sbucò da quella curva strombazzando. In seguito alcune macchine, poi di nuovo un pullman, ed un altro ancora, ne contai oltre trenta poi persi il conto. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Tutti andavano verso Cengio, mai quella strada aveva visto tanti mezzi passare, mai come quel giorno mi sentii prigioniero in casa. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Non riuscivo a stare in piedi per colpa dell’influenza e non riuscivo a stare a letto perché troppo agitato. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Il pomeriggio fu quindi lungo e travagliato: ebbi le prime notizie sulla manifestazione dai telegiornali, poi sentii dal vivo la versione di alcuni che avevano partecipato. «E’ stata una grandiosa manifestazione! le vie di Cengio erano stracolme di gente, striscioni, bandiere, gagliardetti di tutti i comuni, associazioni, partiti. Alcuni avevano stimato 8000 persone, altri dicevano 10000. Comunque sia, è stata una grande manifestazione».<br />Vinto dalla febbre, mi addormentai e per tutta la notte sentii le urla di quella gente che chiedeva giustizia, vidi Cengio invasa da una folla immensa, e mio nonno in piedi su di un carro, che sorrideva soddisfatto sotto i suoi lunghi baffi bianchi.</em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128584809759481542005-09-19T09:45:00.000+02:002005-11-10T09:50:19.243+01:00cap. 4 il saluto del ministro<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">IL SALUTO DEL MINISTRO</span><br /><br />Eravamo ai primi di maggio del 1988.<br />Per le vie del paese si respirava aria di festa: erano incominciati i preparativi per la sedicesima “Sagra del Pollo”.<br />Alla sera, dopo cena, le donne più volenterose di Gorzegno si trovavano assieme per preparare gli agnolotti al plin da distribuire durante la festa.<br />Nonostante l’entusiasmo, il lavoro e il grande impegno per i preparativi della festa, i discorsi e le discussioni della popolazione cadevano sempre sull’argomento ACNA e sulla lotta per ottenere la sua chiusura.<br />Era in programma per venerdì 6 Maggio un incontro a Bossolasco, presso la sede della Comunità Montana Alta Langa, organizzato dai vertici della Comunità Montana con i dirigenti dell’ACNA, per cercare di far luce sulla problematica creatasi dopo che la Valle era stata dichiarata area ad alto rischio ambientale.<br />I consiglieri valbormidesi avevano espresso la volontà di non partecipare a quell’incontro e così pure la popolazione, che non ne voleva più sapere di sentire le solite promesse.<br />Tutti sapevano che qualunque cosa l’ACNA avesse proposto non l’avrebbe mai mantenuta.<br />Erano finiti i tempi delle trattative, ora ci voleva un taglio netto.<br />“ACNA chiusa e basta!”: questa era la parola d’ordine sulla bocca di tutti.<br />Io, al tempo, avevo ben 43 anni ma devo ammettere che in certe cose ero ancora ingenuo come un bambino: infatti a me non sarebbe dispiaciuta l’idea di sedere a un tavolo con lor signori per vedere come si sarebbero difesi dall’accusa di aver avvelenato una Valle, sentire quali erano i loro progetti per riparare, almeno in parte, il grave danno che avevano arrecato. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Pensavo tra me e me: “a questa riunione sono invitati sindaci e politici, è impossibile che non riescano a fare valere i nostri sacrosanti diritti”.<br />La risposta, anzi la smentita alle mie infantili illusioni, è arrivata puntuale e chiara proprio quel 6 Maggio.<br />Era una di quelle giornate già tiepide, primaverili, e a Bossolasco il panorama era a dir poco splendido: lo sfondo delle montagne e la cima del Monviso innevata….ma questo, a dir la verità, poco importava a noi poveri pellegrini.<br />Eravamo circa 150 persone arrivate a gruppi con le proprie auto dai vari paesi della valle: da Gorzegno eravamo partiti nel primo pomeriggio con sette macchine, qualcuno ci aveva già preceduti, come Renzo Fontana che con altri giornalisti e politici era stato ricevuto al mattino all’interno dell’ACNA con dolciumi, bibite e con i viali rinnovati da ghiaia di montagna ed enormi fioriere.<br />La sede della Comunità Montana era situata tra la provinciale e la via principale del paese e per accedere al locale bisognava fare un breve tratto a piedi e percorrere un balcone. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>L’entrata era praticamente circondata da noi contestatori, ma il passaggio era libero.<br />Qualcuno già era dentro, qualche consigliere entrò tranquillamente tra l’indifferenza di tutti. Ad un tratto il composto vociare della popolazione si trasformò in un mormorio subito seguito da un lungo applauso….stava arrivando l’ing. Obertino, presidente della Comunità Montana.<br />Un applauso talmente composto che in un primo momento il presidente si fermò e sfornò un cordiale sorriso con aria compiaciuta e orgogliosa. Non ci mise molto a capire che quell’applauso era ironico e infatti si trasformò in fischi e urla: “Obertino hai tradito la tua Valle”….”Obertino ti sei venduto”. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>A quel punto il presidente allungò il passo, fece i pochi metri del terrazzo e si infilò dentro in fretta e furia senza voltarsi indietro.<br />Entrarono ancora alcuni consiglieri e tre signori distinti con le borse di pelle e il giornale sotto il braccio, erano gli alti vertici dell’ACNA: il dottor Salucci, il dottor Viganò e l’ing. Pasquon.<br />S’incamminarono verso la sede col sorriso tra le labbra e lo sguardo amico. Tra noi subito s’intonò un grido “ACNA chiusa!…ACNA chiusa!” e anche il loro sorriso si trasformò, il passo si fece più svelto: diretto verso il terrazzo e dritti verso la porta senza voltarsi.<br />Nessun sindaco e nessun consigliere della valle era presente in sala. Come deciso in precedenza non volevano negoziare la salute dei cittadini con i dirigenti dell’ACNA.<br /><br />IL SIGNOR MINISTRO:<br /><br />Eravamo tutti ammassati davanti all’entrata della sede dove era in programma “l’incontro farsa” e non riuscivamo a capire se questo fosse cominciato o meno.<br />Il nostro scopo era fare sentire la protesta a chi responsabile, far entrare le nostre grida tra le mura e le porte sbarrate.<br />Ad un tratto ci fu quasi un silenzio totale, tutti si girarono verso la Provinciale dove, da un'auto blu, era sceso in mezzo a noi nientemeno che il Ministro della sanità: Donat - Cattin.<br />Io e alcuni vicino a me restammo senza parole.<br />Penso sia stata una sorpresa per tutti, perché tutti rimasero quasi in silenzio.<br />Il Ministro, dritto su di sé e con volto austero e serio, si diresse a passi lunghi e veloci verso l’entrata.<br />Ruppe il silenzio la voce sottile ma penetrante di una donna: ”signor Ministro!……signor Ministro!”….ma egli tirò dritto, passò sui miei piedi e in un attimo raggiunse la porta. La donna continuò con voce implorante, aiutata adesso da alcuni di noi: ”signor Ministro! ….solo una domanda!”<br />Il ministro impugnò la maniglia e aprì la porta.<br />Finalmente tranquillo per aver raggiunto il suo traguardo, si voltò di scatto verso di noi e con un ruggito forte e chiaro rispose a tutti i presenti con le testuali parole: "non rompetemi le palle!…”.<br />Poi, senza aspettare risposta, si rivolse ad un povero carabiniere in servizio vicino all’entrata e gli urlò in faccia in modo sgarbato: ”cosa ci fanno quelli lì fuori?…chiama dei rinforzi mandali via….sgomberare! ! ! “.<br />Rimasi letteralmente senza parole: non riesco a descrivere quello che ho provato in quel momento.<br />Io che fino a quel momento credevo al dialogo, alle istituzioni, mi sono sentito crollare il mondo sotto i piedi, con un miscuglio di delusione e rabbia. Sono rimasto come un bambino di pochi anni a cui è stato detto in modo sgarbato che Babbo Natale non esiste.<br />Fu in quel pomeriggio del 6 Maggio che finì la mia ingenuità e all’età di 43 anni non ancora compiuti divenni un po’ più adulto.<br />Intanto la situazione in piazza si era surriscaldata: arrivarono puntualmente i rinforzi chiesti con prepotenza dal Ministro ma arrivarono anche parecchie macchine di manifestanti da Cortemilia, da Vesime e da buona parte della valle Bormida.<br />I manifestanti in coro invitavano l’onorevole Donat - Cattin ad uscire fuori e le urla e le imprecazioni si fecero sempre più forti.<br />Ad un tratto la porticina del terrazzo si aprì e ne uscì un Signore dall’aria buona, che venne in mezzo a noi, a parlarci in modo amichevole.<br />Era il “buon“ Ruffino, onorevole, grande amico ed ex legale dell’ACNA. Ci raccontò che anche lui era un valligiano molto legato alla nostra valle, disse che avevamo ragione e che avrebbe fatto il possibile per far valere le nostre ragioni, ma anche che l’ACNA da quel momento avrebbe rispettato le leggi e che aveva il diritto di lavorare.<br />Ci fece capire che potevamo andare a casa tranquillamente e che ci avrebbe pensato lui.<br />Nonostante il suo modo cordiale, non convinse nessuno……l’unico ingenuo presente era diventato adulto pochi minuti prima……e si riprese a urlare sempre più forte e sempre più numerosi “ACNA chiusa!…..ACNA chiusa!” e ci si rivolgeva poi al Ministro, invitandolo fuori.<br />Si stava facendo tardi, io avrei dovuto essere di turno per la notte, ma non me la sentivo di lasciare la compagnia, non sarei scappato senza rivedere in faccia quell’uomo dalle “palle rotte“, quell’uomo che mi aveva aiutato a crescere e a maturare.<br />Nessuno diede segni di stanchezza, anzi al contrario continuava ad arrivare gente.<br />Finalmente la porta si aprì e qualcuno incominciò a uscire scortato dalle forze dell’ordine, seguito appena da qualche fischio.<br />Ormai era chiaro che la nostra attenzione e la nostra attesa era tutta rivolta per il Ministro Donat - Cattin, che uscì quasi portato in braccio da un cordone di carabinieri.<br />Potemmo solo urlare la nostra rabbia e seguire con lo sguardo quell’ammasso di divise che si avvicinava all’auto blu che attendeva di fianco alla provinciale.<br />Quando la portiera fu aperta e il Ministro stava per salire si voltò verso di noi per uno speciale saluto………alzò l’avambraccio destro e lo colpì fortemente col sinistro in segno di sfratto.<br />Non ho capito le volgari parole che hanno accompagnato quel gesto, ma il segnale era forte e chiaro.<br />Il bel panorama che circondava il paese si era oscurato, non si vedeva più la cima innevata del Monviso, la poesia che rallegrava i nostri cuori si era oscurata. Era scesa la notte su tutto, e tutto intorno tornò il silenzio.<br />Restavano solo i ricordi: ognuno di noi tornò a casa con i propri; e con i ricordi, le proprie considerazioni.</em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128585304019908512005-09-18T09:53:00.000+02:002005-11-10T12:17:18.063+01:00cap. 5 occasioni mancate<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">OCCASIONI MANCATE<br /></span><br />Maggio 1988<br />La vita apparentemente tranquilla di un operaio, in realtà non è sempre così monotona come sembra agli occhi della gente. Spesso dovevo lottare tra la famiglia e la fabbrica. Alla prima ci tenevo troppo: i bambini, in età scolare, volevo seguirli, essergli vicino nello studio e nello svago. Volevo essere un padre amico, non un padre padrone. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Il lavoro interferiva parecchio con questo mio obiettivo: dovevo lavorare di notte, di sabato e anche di domenica, trovandomi magari libero in settimana quando i bambini erano a scuola. La fabbrica in cui lavoravo, mi chiedeva sempre di più, voleva più produzione, miglior qualità e arrivavo alla fine del turno di lavoro stressato e sfinito.<br />In tutta la valle la lotta contro l’ACNA era sempre più attiva e serrata: non si contavano più le assemblee e le iniziative. Io che ho creduto in quella lotta da sempre, dopo l’incontro a Bossolasco con il ministro Donat-Cattin, ho visto accendersi in me una sete di giustizia che mi spinse a seguire e a partecipare attivamente a tutte le iniziative. Purtroppo però dovevo fare i conti con la famiglia e il lavoro, così, quel 30 Maggio 1988, salutai dalla mia finestra di casa il pullman carico di miei compaesani, donne e uomini, fra cui mio padre, che verso le nove del mattino partirono dalla piazza di Gorzegno per recarsi al palazzo della Regione a Genova. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Lo seguii con gli occhi e con il cuore quel pullman, ma io quel pomeriggio non potevo mancare al mio lavoro.<br />A Genova, quel giorno, si svolgeva il consiglio regionale in cui si doveva decidere come risanare la fabbrica di Cengio e la presenza in aula di un consistente numero di piemontesi surriscaldò il dibattito. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>La quasi totalità dei partiti liguri era contraria ad una chiusura, seppur temporanea, dell’Acna per il suo risanamento. Nell’aria si ventilava anche uno slittamento del termine, già fissato al 30 Luglio, per presentare il piano di risanamento radicale. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Con tutte quelle scoraggianti prospettive, il pubblico piemontese si indignò e fu allora che sei esponenti dell’associazione “Rinascita Valle Bormida” si incatenarono al balcone dell’atrio della sala consigliare.<br />La protesta ebbe termine solo dopo la promessa, arrivata via fax da Torino, con cui si fissava un incontro per l’indomani mattina alla regione Piemonte.<br />Quella singolare protesta attirò parecchi giornalisti, così il nostro problema ebbe modo di farsi conoscere ad un raggio sempre più ampio.<br />Fare conoscere il nostro caso all’opinione pubblica, possibilmente a livello nazionale, era il nostro obiettivo nelle ultime assemblee. Fu proprio in una di quelle riunioni che una persona tra il pubblico fece notare che il 2 Giugno seguente, a Castelnuovo Don Bosco, avrebbe fatto tappa il Giro d’Italia.<br />Quale occasione migliore per farci notare dalle telecamere e dai giornalisti?<br />In pochissimo tempo l’idea ebbe l’unanime consenso di tutta la valle.<br />Lo scopo non era quello di fermare la manifestazione sportiva, ma soltanto di fare una sfilata con i nostri striscioni e cartelli, sotto l’occhio delle tante telecamere presenti.<br />In quel modo le nostre immagini e lo striscione con su scritto ”Valle Bormida Pulita” sarebbero entrate nelle case di tutti gli italiani.<br />Lavorai sodo con gli amici per scrivere nuovi cartelloni, ma anche quella volta dovetti rinunciare alla manifestazione.<br />Ma anche quel pomeriggio dovetti lavorare: il collega con il quale avevo programmato il cambio turno ebbe un contrattempo, così fui costretto ad accontentarmi di vedere i sei pullman e le decine di macchine partire da Cortemilia verso Asti.<br />Le forze dell’ordine erano informate di quella iniziativa: già alla partenza e per tutto il tragitto, il corteo fu sostanzialmente scortato fino all’arrivo sul posto dove si svolgeva la manifestazione.<br />Mancava ancora parecchio all’arrivo dei corridori e il corteo di protesta fece il suo tragitto sulla pista dell’arrivo, sotto gli occhi stupiti di tifosi e forze dell’ordine. Incominciò subito una mediazione con il vicequestore di Asti e con il regista delle trasmissioni Rai.<br />Si arrivò ad un accordo: i manifestanti avrebbero lasciato libera la pista e in cambio la Rai avrebbe trasmesso per 30 secondi in diretta i nostri messaggi.<br />Accordo fatto, il corteo con gli striscioni si spostò sul bordo della strada e la pista fu libera. Dopo qualche minuto arrivarono i ciclisti che fecero la loro volata finale. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Una volata, che all’insaputa di tutti era finta.<br />L’organizzazione della gara, infatti, senza dare comunicazione, aveva deciso di sospendere la gara e assegnare la vittoria a pari merito a tutti i partecipanti.<br />Sul pullman, durante il ritorno, tutti erano cautamente soddisfatti per aver ottenuto quei trenta secondi di ripresa Rai, tutti erano ignari di quello che era veramente successo.<br />Così la sorpresa maggiore l’ebbero sentendo la notizia al telegiornale; “la tappa era stata soppressa e il punteggio assegnato a tavolino”.<br />Tutti i telegiornali ne parlarono ancora il giorno dopo, la stampa nazionale e internazionale diede molto risalto alla cosa. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Alcuni ci accusarono ingiustamente di aver tradito uno sport pulito, altri ci hanno chiamati ecologisti esaltati, ma intanto il nostro striscione con su scritto: “Valle Bormida Pulita” fece il giro di tutti i quotidiani.<br />Quella sera rientrai dal lavoro stanco ma contento: pur non avendo partecipato direttamente a quella manifestazione avevo colto tutte le emozioni, mi sentivo in mezzo a loro e ne ero orgoglioso.</em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128585491783270012005-09-17T09:55:00.000+02:002005-11-10T12:26:27.440+01:00cap. 6 la sala del centro<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">LA SALA DEL CENTRO</span><br /></em></strong></div><div align="justify"><strong><em>....dalla umile valle ai lussuosi saloni del palazzo regio....<br /><br />Quando ero ragazzino il mio mondo finiva là: dove il cielo toccava la collina di Mombarcaro già sentivo parlare di Torino. Me ne parlavano i miei fratelli, i miei compagni più alti e me la descrivevano nei modi più svariati: Torino ricca di luci, palazzi, tram e persino automobili!<br />A Torino, mi dicevano, c’è lavoro, ci sono scuole e i bambini portano le scarpe di gomma. Io ero incuriosito e facevo i miei ragionamenti…………vada per le scarpe di gomma, che senz’altro sono più comode dei miei zoccoli di legno, ma le scuole…….; io facevo prima elementare e accanto al mio salone (che era poi solo una cameretta), c’erano altri quattro locali con sulla porta una targhetta di carta con su scritto CL2°- CL3°- CL4°- CL5°.<br />Erano troppi per me e il solo pensiero di dover oltrepassare tutte quelle porte, mi sconvolgeva non poco. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Il lavoro poi…..proprio non capivo: già i miei fratelli, ma soprattutto mio padre e mio nonno, arrivavano a casa la sera stanchi dalla fatica.<br />Io stesso, nelle ore libere dopo la scuola, dovevo andare al pascolo. Così ragionando cominciai ad immaginarmi una Torino a modo mio e man mano che passavano i giorni la modificavo e la ingrandivo, le aggiungevo qualche luce. Me l’ero creata come si crea un castello…..e come tale mi crollò sui piedi prima ancora che varcassi la porta con la scritta CL2°.<br />Quella mitica Torino che ancora non avevo conosciuto già la odiavo, la disprezzavo come un nemico, come un traditore. Mi aveva portato via “FRANCO”, il mio più caro amico e compagno di gioco. Me lo aveva rubato con la sua famiglia per colpa di quel lavoro che io non capivo.<br />Passarono gli anni e ho avuto modo di recarmi a Torino per i più svariati motivi.<br />Non sto a raccontare le emozioni e le sorprese del mio primo incontro con quella città, ma faccio un salto nel tempo e vado direttamente al 1988, precisamente al 12 Maggio.<br />Partii da Gorzegno con un pullman carico di altri 50 compaesani. Quando fummo in frazione Campetto altri pullman già erano davanti a noi e si stavano arrampicando su per la salita di Borgomale e altri ancora stavano scendendo la tortuosa statale che viene giù da Castino. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Formammo così una colonna di sei pullman, e su ognuno un vistoso cartello portava il nome di un paese: Camerana, Bistagno, Monastero, Levice, Vesime, Sessole. Erano paesi della “Valle Bormida” e la meta era TORINO.<br />Scendemmo in Piazza Castello, nel cuore della vecchia Torino. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Bellissima piazza con ricchi monumenti, lussuosi negozi. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Ma il nostro non era un viaggio di piacere e neanche un viaggio d'affari. Era piuttosto una missione: dovevamo semplicemente spiegare ai nostri Consiglieri regionali che in Piemonte c’è una valle in cui il fiume che vi scorre è nero e puzzolente e i suoi abitanti muoiono di cancro. La causa di quel disastro è una fabbrica chimica chiamata ACNA ed è situata a pochi metri dal confine tra Piemonte e Liguria.<br />La pioggia scendeva fitta quel giorno e noi da Piazza Castello ci avviammo a piedi verso Via Alfieri. Al nostro passaggio le vetrine dei negozi abbassavano le serrande.…….non penso lo facessero per rispetto verso di noi ma molto probabilmente avevano paura. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Quando arrivammo in Via Alfieri, davanti al palazzo della Regione, anche il massiccio portone di entrata si chiuse davanti a noi. Restammo fuori sotto la pioggia per ore, mentre dentro Renzo Fontana, Bruno Bruna e altri nostri rappresentanti dell’Associazione Valle Bormida Pulita, stavano trattando con l’assessore all’ecologia: Elettra Cernetti. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Per noi non c’era posto, non erano preparati a riceverci e la sala del consiglio non era sufficiente ad ospitare 300 persone. «Nessun problema!», replicò Renzo Fontana, «se la gente che è fuori non può entrare, avete solo da uscire voi…».<br />Finalmente il grande portone si aprì e uno alla volta, dopo aver lasciato un documento in portineria, ci fecero accomodare nella Sala Del Centro. Ampie scale di marmo luccicante, enormi lampadari con infinite lacrime di cristallo, sculture in marmo rappresentanti personaggi storici.<br />Ci accomodammo in lussuose poltrone di velluto. Le poltrone erano morbide e comode, l’aria era tiepida, fuori dalle enormi finestre si vedeva la pioggia battente e le gocce che bagnavano i vetri, colorate dal riflesso dei lampadari, sembravano tante perle.<br />La povera Cernetti cominciò a parlare e parlare, a tratti sembrava volersi scusare con noi, poi incominciava ad esaltare il suo operato e i tanti sacrifici fatti per noi. La sua voce era tutto un piagnucolio ma il nostro problema era sempre raggirato e si capì ben presto che di ACNA e di Bormida inquinato ne sapeva ben poco, sia lei che gli altri Consiglieri regionali.<br />Seduto in quella comoda poltrona, inebriato da tante parole e con gli occhi puntati verso un grande lampadario con innumerevoli cristalli luccicanti, volai con il pensiero alla mia Valle e capii quanto fosse lontana. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>A renderla lontana non erano solo quel centinaio di chilometri che dividevano la Sala Del Centro dal mio paese, ma era quell’ambiente surreale. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Da quella poltrona in quella lussuosa sala non si poteva sentire la puzza del Bormida, non si sarebbe sentita neanche se il fiume fosse passato sotto quelle finestre.<br />Fare entrare il nostro problema nella testa di quelle persone era come far entrare quell’enorme lampadario……su cui avevo gli occhi puntati……..nella saletta della mia classe di prima elementare.<br />Palazzo Lascari divenne frequentemente la nostra meta, vi ritornammo in diverse occasioni. Ricordo il 14 giugno 1988, quella volta c’era niente meno che il Ministro dell’ambiente, Giorgio Ruffolo.<br />Dopo neanche un mese, il 7 luglio 1988, tornammo....e davvero in tanti! </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Quel giorno Via Alfieri era divisa a metà: da una parte noi piemontesi inquinati, a imprecare contro l’ACNA; dall’altra gli operai che difendevano con le unghie quel lavoro, gente dei nostri stessi paesi.<br />Tutti avevamo diritto di protestare, tutti avevamo la nostra ragione. Dalle 8 del mattino, sotto un sole cocente e un’aria afosa, in piedi sull’asfalto bollente, urlammo la nostra rabbia fino alle 17,30 del pomeriggio.<br />Preso dal caldo e dalla stanchezza mi accovacciai sul marciapiede e sognai ad occhi aperti quelle comode poltrone di velluto, in quei lussuosi saloni rinfrescati dall’aria condizionata. Sognai quegli enormi lampadari di cristallo e mi resi conto di quanto lontano fossero i nostri politici.<br /><br /></div></em></strong>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128586314485541032005-09-16T10:06:00.000+02:002005-11-11T18:17:41.563+01:00cap. 7 una settimana calda<span style="font-size:180%;"><em><strong>UNA SETTIMANA “CALDA”</strong></em></span><br /><br /><br /><a href="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/1600/IMG00553.jpg"><img style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/320/IMG00553.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"><strong><em>Sabato 23 Luglio 1988 “LA NUBE”<br /><br />«Una ragnatela di nubi nerastre vagava in cielo, impigliata nel campanile del paese». </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Sono parole scritte da BEPPE FENOGLIO, nel libro “Il partigiano Johnny”.<br />In una calda e arida estate, quando l’afa ti toglie il respiro e ti rovina il sonno, alzarsi al mattino con una nube sopra la testa può sembrare un miraggio.<br />E’ quanto è successo agli abitanti di Saliceto quel sabato mattina, 23 luglio, del 1988: chi si è affacciato alla finestra o è uscito di casa verso le 8,30 del mattino ha visto il paese avvolto in una nuvola biancastra. Peccato però che invece di una boccata di fresco ossigeno, quella nube portava con se anidride solforosa.<br />Molte persone uscendo da casa hanno cominciato a tossire e sentire sintomi di vomito con un groppo in gola che toglieva il respiro. All’ufficio comunale sono incominciate ad arrivare telefonate di abitanti spaventati, in cerca di spiegazioni. Ma la strana nube aveva colto di sorpresa tutti.<br />Solo all’ACNA sapevano di una fuga di anidride solforosa dal reparto dove si fabbricava l’Oleum (acido solforoso arricchito di anidride solforosa, che serve come materia prima per preparare il Betanaftolo, l’acido Gamma, l’acido Tobia ).<br />Ma all’interno della fabbrica, invece di avvisare la popolazione del pericolo che stava correndo, si cercò di capire cosa e come fosse successo quell’incidente, in modo da poter rimediare al danno senza che nessuno se ne accorgesse.<br />Era un periodo difficile per la fabbrica chimica: era di quei giorni, infatti, la notizia che il Ministro dell’ambiente Ruffolo voleva chiuderla per sei mesi, mancava solo la firma del Ministro della sanità.<br />Quella nube capitò proprio nel momento meno opportuno per l’ACNA e qualcuno arrivò anche a pensare che fossimo stati noi “ambientalisti piemontesi" a sabotare l’impianto.<br />A Saliceto l’allarme durò un paio di ore e la popolazione fu avvisata da un impiegato del comune che, passando con un pulmino fornito di megafoni, invitò la popolazione a restare chiusa in casa in attesa che la nube si estinguesse.<br />Nella bassa valle Bormida l’allarme arrivò verso le 11: a Cortemilia un centinaio di persone si riversò nella piazza del Municipio per saperne di più. Il sindaco Dessino si mise in contatto con la prefettura e la gente in piazza improvvisò un’assemblea.<br />Paura, rabbia e sete di notizie, che nessuno però sapeva dare.<br />Presto l’assemblea si trasformò in manifestazione. Arrivò ancora gente, anche dalla bassa valle, e alle ore 13 la statale 29 che porta ad Alba era bloccata. Infine verso le 15 si formò un corteo di macchine in direzione di Cengio. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Ad ogni paese il serpentone di macchine si allungava e arrivati a Saliceto si fermò nella piazza davanti al Comune.<br />Io che quel mattino mi ero alzato alle 4 e avevo fatto il primo turno, non ce la facevo più dal sonno ed ero l’unico a vedere ancora la nebbia sul paese……ma in realtà il cielo era tornato nitido e il sole bruciava sulle nostre teste.<br />Parcheggiate le macchine in piazza, ci raggruppammo sulla statale e iniziammo a camminare in direzione di Cengio. Camminammo così, senza una fissa meta e senza un programma. Tutti sapevamo che il mostro da abbattere era a Cengio, ma nessuno sapeva come, quando e in che modo.<br />Tutti dicevamo la nostra opinione ma nessuno dava ordini, così vagammo come un gregge senza pastore fino a ritrovarci sui binari della ferrovia, alla piccola stazione ferroviaria di Saliceto.<br />Con noi c’era anche un gruppo di Anarchici, che in quei giorni si trovava in campeggio nella nostra valle…...era visto da tutti noi con un po’ di diffidenza e, mentre loro si fumavano qualche spinello davanti agli occhi vigili dei carabinieri, noi seduti sui binari decidemmo le mosse da intraprendere per l’indomani.<br /><br /><br />Domenica 24 luglio 1988 “ 5.000 BIRO PER UNA FIRMA “<br /><br />Volevamo andare a Cengio ma ci avevano avvertito: «si arriva fino alle porte di Cengio, non un metro più in là ».<br />E così è stato. </em></strong><strong><em>Non abbiamo fatto alcuna resistenza.<br />All’indomani della nube tossica, partimmo da Cortemilia con non meno di 500 macchine e risalimmo la valle fino a Cengio.<br />A Pian Rocchetta, proprio sul confine tra Piemonte e Liguria, la statale era bloccata da un cordone di poliziotti.<br />Cominciò allora un lungo e difficile patteggiamento tra noi valligiani e le forze dell'ordine ma, visto che era impossibile varcare quel “confine“, ci accordammo di far entrare in Cengio una nostra delegazione formata dal Sen. Visca e da due sindaci: Topia di Perletto e Balza di Acqui Terme, i quali entrarono col preciso scopo di parlare con il consiglio di fabbrica.<br />Intanto, sul confine, la gente continuava ad arrivare e col passare delle ore cominciammo ad innervosirci. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Non mancavano però opinioni e proposte: «Ruffolo (Min. dell’ambiente) è pronto a chiudere l’ACNA per sei mesi, manca solo la firma del Min. DONAT - CATTIN» disse una voce al megafono, che continuò «perché non andiamo tutti assieme a portargli una biro, in modo che possa firmare il decreto?».<br />A quelle parole, sul piccolo palco improvvisato su di un furgoncino, incominciarono ad arrivare decine e decine di biro. E fu a quel punto che Renzo Fontana fece la sua proposta: «Oggi qui siamo in tanti, ma dobbiamo sensibilizzare di più gli abitanti del basso Piemonte, perché non andiamo adesso in corteo per le vie di Acqui?»<br />Come risposta ci fu un lungo e caloroso applauso, e nel giro di pochi minuti ci si avviò verso la bassa valle, in un lungo serpentone di auto, moto e furgoni. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>La statale 339 diventò a senso unico, viaggiammo in doppia fila da Cengio a Bistagno, strombazzando e costringendo chi viaggiava in senso contrario a fermarsi.<br />Ci diedero una mano le gazzelle della polizia che sbucavano fuori da tutte le parti, a sirene spiegate.<br />C’erano gazzelle davanti e dietro al corteo, ad ogni incrocio.<br />Per una volta ci sentimmo i padroni di tutta la valle, ed io, sulla mia VISA rossa, ogni volta che intravedevo il Bormida o lo fiancheggiavo, mi sentivo orgoglioso….perché mi stavo battendo per lui, per la sua salvezza……</em></strong></div><div align="justify"><strong><em>«Stai tranquillo» sussurravo a bassa voce, «non mollerò finché non vedrò le tue acque ridiventare chiare come non le ho mai viste e vedrò sul tuo fondo ogni razza di pesci. Ritornerò a giocare sulle tue sponde, anche se non più bambino. Mi fermerò a sentire la tua voce che non sarà più un lamento ma un allegro cantico». </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>I due amici che erano in macchina con me mi guardavano stupiti di quel discorso, ma era evidente che la pensavano esattamente come me.<br />Quando ci fermammo con le auto presso la stazione ferroviaria di Acqui demmo inizio ad un lungo corteo a piedi per le vie principali della cittadina. Al nostro passaggio la popolazione usciva sul balconi e dai bar, a sentire le nostre invocazioni: «una biro per il ministro Donat - Cattin………una biro affinché il ministro possa firmare il decreto che prevede la chiusura dell’ACNA per sei mesi…..».<br />Quelle erano, in linea di massima, le parole che urlavamo per le vie di Acqui, ma non tutti conoscevano il nostro problema. Qualcuno si stupiva di quel corteo, altri ci criticavano, ma da tutte le parti piovevano biro. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>C’erano biro a sufficienza per firmare tutti i decreti accantonati a Roma e anche per scrivere i cento e più anni di ingiustizie subiti dalle nostre valle.<br />Il corteo finì in Piazza della Bollente, dove presero la parola, tra gli altri, il sindaco di Perletto e il sindaco di Acqui Terme.<br /><br /><br />Lunedì 25 luglio 1988 “Alba, consegna delle biro “<br /><br />Alba, bella e ricca cittadina ai piedi delle Langhe, è un po’ la nostra capitale. Lì ci riversiamo per i nostri acquisti, per vendere i prodotti della campagna, per lo svago e sopratutto per il lavoro. Sono tanti infatti i “Langhet” (così sono chiamati i nostri valligiani) che lavorano ad Alba.<br />Essendo grande e ricca, Alba è anche potente sul piano politico e il ministro Donat -Cattin aveva un suo ufficio in viale Vico.<br />Dopo aver raccolto migliaia di biro la sera prima ad Acqui partimmo quel lunedì, in prima serata, formando un corteo di macchine con destinazione Alba: lì avremmo consegnato al sig. Ministro l’originale regalo.<br />Non era nel nostro stile fare quell’importante consegna in punta di piedi, così ripetemmo l’esperienza del giorno precedente.<br />Non eravamo in tanti, ma a sufficienza per farci notare e sentire.<br />Ci addentrammo a piedi per Via Maestra, Piazza del Duomo e tutte le vie principali del paese. Ad Alba, quasi tutti conoscevano il nostro problema e ci sentimmo in mezzo a tanti amici. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Tanti si aggiunsero a noi, cosicché il corteo divenne sempre più consistente e anche qui, da ogni parte, si aggiunsero biro alla nostra raccolta.<br />Quando arrivammo dietro al Duomo, in Piazza Mons. Grassi, un gruppetto di persone si presentò in modo composto e educato alla porta di Mons. Nicolini. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Il Vescovo li ricevette gentilmente e si dimostrò molto ben documentato sulla situazione della nostra valle e sulle conseguenze dell’ACNA.<br />Era uscito da pochi giorni, infatti, un documento comune firmato da un gruppo di parroci e tre vescovi, a conclusione di una riflessione sul problema.<br />Il Vescovo ci illustrò il suo punto di vista sul contenuto del documento ed ebbe parole di comprensione e conforto per noi. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Mentre parlava tirò fuori dal taschino una penna luccicante colore oro, che andò ad arricchire la nostra collezione.<br />Dal corteo si alzò un caloroso “Grazie!“ per il Monsignore, dopodichè virammo in direzione di Piazza Savona, per raggiungere l’ufficio del Ministro della sanità.<br />Oramai si era fatto tardi e non volevamo passare come dei disturbatori della quiete pubblica. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Le circa 5000 biro furono deposte in tre scatoloni di cartone e tre bambini, accompagnati dalle forze dell’ordine, portarono il singolare dono al primo piano del condominio e le depositarono sull’uscio chiuso dell’ufficio del Ministro.<br />Nella mia immaginazione ho rivisto quel Ministro, austero, prepotente, autoritario e maleducato che avevo conosciuto a Bossolasco davanti alla sede della comunità montana, e già me lo immaginavo, alla vista di quelle scatole, ordinarne lo sgombero con lo stesso tono prepotente che aveva avuto con noi a Maggio.<br />Terminò così quella terza giornata consecutiva di protesta, ma purtroppo non vi era ancora tempo per riposare.<br />Ci salutammo tutti, fissando l’appuntamento per l’indomani a Cortemilia alle 20.30 nei locali della sagra.<br />Lasciammo la cittadina di Alba tutti consapevoli che nessuna di quelle biro sarebbe stata usata per firmare il decreto della chiusura dell’ACNA, ma eravamo ugualmente contenti perché avevamo scritto un’altra pagina di storia. In quei tre giorni di proteste avevamo fatto conoscere il nostro problema a gente nuova, ad Acqui e ad Alba, e ora potevamo contare su qualche amico in più.<br /><br /><br />Martedì 26 Luglio 1988 “ MUSICA, ATTESA E RABBIA “<br /><br /><br />L’appuntamento era per le 20,30 a Cortemilia, nel cortile dell’ex convento Francescano. Avevamo deciso di passare una serata diversa, in allegria, con musica e canti e per noi si sarebbe esibito “Tito Schipa junior.“<br />Dopo tre giorni di manifestazioni da un angolo all’altro della nostra valle, sembrava una buona idea trovarsi tutti assieme in un clima di festa. La gente era quella dei giorni precedenti, volti ormai noti, altri appena visti, persone di ogni età e di ogni livello sociale. Canti, balli, allegria, tutti si sforzavamo di essere spensierati, godendo assieme alla musica quel po’ di fresco che la serata offriva. Le note amplificate del pianoforte si diffondevano per buona parte del paese, così, anche chi si trovava a passeggiare lungo il viale alberato di centenari tigli, poteva essere partecipe di quell’atmosfera di festa.<br />Erano quasi le 22 e la gente continuava ad entrare in quel cortile, a piccoli gruppi, e prima di occupare i posti a sedere, cercava notizie. Era diventata una parola d’ordine ed era sulla bocca di tutti: «a Roma, cosa hanno deciso?».<br />A Roma, infatti, era in corso una riunione interministeriale tra il ministro Ruffolo, Donat - Cattin, Battaglia (industria) e il presidente del consiglio on. De Mita.<br />L’incontro era in corso già dal pomeriggio e da esso sarebbe dovuto scaturire un accordo per la chiusura provvisoria di sei mesi dell’ACNA, periodo in cui, secondo Ruffolo, si sarebbe provveduto alla messa in sicurezza della fabbrica chimica.<br />Ma da Roma ancora nessuna decisione, la riunione era ancora in corso e l’intesa sembrava lontana.<br />Non bastavano le note di Tito-Schipa junior per farci dimenticare il problema.<br />Più passava il tempo e più la domanda si faceva insistente: «a Roma cosa stanno facendo?».<br />Per me la festa era finita, stava infatti per scadere il tempo che mi ero concesso e alle ore 22 dovevo proprio andare a lavorare.<br />Purtroppo, però, la festa finì presto per tutti: da Roma arrivò la notizia che la riunione interministeriale era stata rinviata senza arrivare a nessun accordo.<br />L’annuncio fece subito il giro del locale e tutti cominciarono a bisbigliare tra loro formando campanelli di gente. In ogni volto si leggeva lo sconforto, la sfiducia nelle istituzioni, la rabbia per tanta fatica e tempo sprecato in quei caldi giorni d’estate. Dopo quella notizia, le note dal palco stentavano ad arrivare alle orecchie della gente, girovagavando a vuoto come farfalle impazzite intorno ad un lampione acceso.<br />La notizia del rinvio, invece, si espanse per tutta la valle: da Cortemilia a Saliceto, da Saliceto a Bistagno.<br />La festa comunque continuò e il cortile del convento finì per riempirsi e continuarono ad arrivare persone. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Quando Tito-Schipa salutò il pubblico con il suo ultimo brano, il campanile della vicina chiesa di S. Pantaleo batté un unico tocco, era l’una dopo la mezzanotte, la festa era terminata e tutti si riversarono in strada dove si era già formato un piccolo corteo di macchine. Il corteo in poco tempo si allungò, facendosi rumoroso: incominciarono i soliti slogan mentre i megafoni informavano la popolazione. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>La Cortemilia che già dormiva si svegliò, la gente prese a scendere in strada ammassandosi in Piazza Savona. E’ lì che nacque l’idea di andare ad Alessandria, subito, in prima notte. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>La proposta venne approvata con un applauso: cominciò così il quarto giorno di protesta.<br />La strada per Alessandria è lunga e il serpentone di macchine in ogni paese faceva il giro per le vie del centro, informando e svegliando i suoi abitanti.<br />Alle 4 del mattino il corteo arrivò ad Alessandria, in Piazza Della Libertà, proprio davanti alla sede della Prefettura e della Provincia. Lì, ad attenderlo, vi era già un consistente schieramento di forze dell’ordine e, nonostante l’ora “strana”, una nostra delegazione venne ricevuta dal vice prefetto, dal vice sindaco e dall’assessore all’ambiente di quella città.<br />In quell’incontro venne ribadita la richiesta di chiusura dell’ACNA, sottolineando la delusione per la mancata decisione dei ministri riuniti a Roma la sera prima.<br /><br />Mercoledì 27 luglio. MANIFESTAZIONE AD OLTRANZA<br /><br />Dopo l’incontro con il vice prefetto Piazza della Libertà è rimasta occupata, nessuno ha trovato un motivo abbastanza valido per abbandonare la manifestazione, almeno fino a quando non fossero arrivati i rinforzi dall’alta valle.<br />A Cortemilia intanto, mentre stava per incominciare una nuova giornata lavorativa, una macchina del comune girava con i megafoni per le vie del paese informando la popolazione della situazione creatasi nella notte ad Alessandria ed invitava a portare solidarietà e rinforzi ai compagni che erano laggiù dalla notte. Alcuni negozi, appena aperti, riabbassarono le serrande, officine e laboratori rimasero semideserti.<br />Ad Alessandria, i primi manifestanti che avevano girovagato tutta la notte poterono fare ritorno a casa perché sostituiti dai compagni.<br />Nella sede della Provincia, per tutta la giornata si svolsero incontri con amministratori comunali, provinciali e regionali, sempre in contatto con Roma, dove era ripresa la trattativa.<br />Quel mercoledì 27 fu un giorno difficile per tutti.<br />Non mancarono alcuni blocchi ferroviari e disagi per la circolazione. Purtroppo, anche in quel caso, ne ebbero disagio delle persone che non avevano colpa alcuna, ne eravamo tutti consapevoli, ma del resto cento anni di repressione, di inquinamento e di menzogne erano veramente troppi.<br />Non avevamo nessun’altra arma per farci sentire, così cercammo di spiegare le nostre ragioni alla popolazione disagiata, la quale capì e ci dimostrò solidarietà.<br />Dopo una giornata di manifestazione nella piazza centrale di Alessandria e dopo quindici ore di mediazioni, incontri, consultazioni nel palazzo della prefettura e della provincia, si decise di fare ritorno nei nostri paesi. Il sindaco si era detto disposto a dimettersi assieme ai suoi colleghi pur di ottenere la chiusura dell’ACNA e la Regione si era offerta di mettere a disposizione vari pullman e vagoni ferroviari, per andare a Roma a manifestare davanti al parlamento.<br /><br /><br />Giovedì 28 luglio LA CHIUSURA BEFFA.<br /><br />Non erano ancora suonate le 9 di mattina che già uscivo dalla farmacia di Cortemilia, la mia Visa rossa parcheggiata dall’altra parte della via, sotto i grandi alberi di tiglio che ancora profumavano con i loro ultimi fiori appassiti, confondendo il proprio odore con la puzza acre del Bormida che lì scorreva, viscido e silenzioso.<br />Percorsi a piedi un tratto del viale per infilarmi nella “puntina” di ferro che attraversa il fiume. Camminai fissando lo sguardo dritto davanti a me, senza abbassare la testa. Non volevo incrociare con gli occhi quel fiume per cui tanto avevo lottato inutilmente. Sentivo ancora sulle spalle il peso delle ultime proteste, le ore di sonno perse. Avevo ancora nelle orecchie gli slogan e le urla contro quella fabbrica che avvelenava la nostra bella valle.<br />Affacciatomi sulla Piazza Oscar Molinari, vidi camminare verso di me un uomo col passo stanco e con la barba di tre giorni. Era un amico, non conoscevo il suo nome, non sapevo da che paese venisse, ma era un amico. Non sapevo nulla di lui, quale lavoro, quale idea politica, però era un amico.<br />L’avevo visto sui binari della ferrovia di Saliceto quel sabato della nube, l’ ho rivisto a Pian Rocchetta alla domenica, poi in corteo per le vie di Acqui Terme, l’ ho visto ancora lunedì sera davanti all’ufficio del ministro Donat - Cattin, c’era anche lui martedì sera al concerto, e per ultimo ha lasciato Piazza della Libertà ad Alessandria. Incrociandoci, ci salutammo con un cenno del capo, poi lui tornò sui suoi passi e mi parlò per primo. A pochi passi da noi, nel pianterreno del vecchio tribunale, c'era una vecchia porta con un foglio di carta appeso e una matita che penzolava legata con uno spago. Era la sede della nostra associazione: “Rinascita Per La Valle Bormida “.<br />Su quel foglio vi era un parziale elenco di nomi e, mentre l’amico sconosciuto mi dava le ultime notizie arrivate nella notte dalla capitale, parecchie persone si avvicinavano alla vecchia porta e scrivevano il proprio nome, allungando sempre più quella lista. Era la prenotazione per un posto sul pullman per Roma, la partenza era fissata per quella sera stessa.<br />Nell’incontro terminato la sera precedente fra i tre Ministri e il Presidente del consiglio, erano arrivati all’accordo di chiudere l’ACNA per quarantacinque giorni. Quella notizia era sulla bocca di tutti e da tutti era vista come l’ennesima beffa.<br />Quarantacinque giorni di chiusura per risanare una fabbrica che inquina da oltre un secolo……non bastava essere ingenui per crederci…..<br />«Una chiusura di pochi giorni ad Agosto è semplicemente una chiusura per ferie», era la frase più diffusa sulla bocca di tutti.<br />A Gorzegno, nel mio paese, le persone che volevano scendere a Roma si facevano segnare in comune. A mezzogiorno quell’elenco era veramente breve, erano pochi ad essere prenotati, ma alla sera sul piazzale della chiesa, sembrava una festa. Erano veramente in tanti: Valerio, Emma, Piero, Giovanni, Renzo…tutti amici.<br />Questi erano amici di cui sapevo proprio tutto, conoscevo i loro nomi, le loro famiglie e il loro lavoro, sapevo il sacrificio che stavano per compiere. Erano pronti a passare la notte insonne e una dura giornata nella torrida Roma, davanti al parlamento, in piedi e controllati a vista da poliziotti, bloccati da transenne in ferro.<br />Sarei voluto tanto salire anch’io su quel pullman pieno di gente allegra con l’aria spensierata e la rabbia nel cuore.<br />Essere rimasto a terra mi fece sentire un traditore, seguii con lo sguardo quel pullman arrampicarsi su per la salita per raggiungere la statale, e poi lo vidi sparire sotto la galleria lasciandosi dietro il suono della sua tromba.<br /><br /><br />Venerdì 29 luglio<br /></em></strong></div><strong><em><div align="justify"><br />Chi è rimasto in valle Bormida ha trovato una valle più desolata e monotona del solito: a Cortemilia il mercato era stato cancellato, buona parte dei negozi era chiusa, molte delle piccole aziende non avevano aperto le serrande.<br />Per chi era rimasto in valle, gli occhi erano puntati su Roma.<br />I quotidiani e i telegiornali parlavano di ventidue pullman e tre vagoni straordinari scesi a Roma per dire “NO“ all’ACNA, accompagnati da trentaquattro sindaci e alcuni assessori provinciali e regionali. Per i nostri amici è stata una giornataccia quella trascorsa davanti a Montecitorio, ad urlare la propria rabbia, con davanti ancora le lunghe ore di viaggio per il ritorno. </div><div align="justify">Per alcuni di loro era il settimo giorno consecutivo di protesta.<br />Stanchi e delusi, con poche speranze nel cuore, arrivarono in Piazza Savona nella Cortemilia deserta. </div><div align="justify">Ad attenderli, uno striscione lungo tre terrazzi con su scritto a grandi lettere: «LA VALLE BORMIDA VI RINGRAZIA».<br />Parole semplici ma significative, che bastarono ad alleviare un po’ la stanchezza e lo spirito dei nostri amici.<br /><br /></div></em></strong>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128586612395541002005-09-15T10:12:00.000+02:002005-11-14T15:17:10.583+01:00cap. 8 il nostro giornale<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">IL NOSTRO GIORNALE </span></em></strong></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><p><strong><em><span style="font-size:180%;"></span></em></strong></p><p><strong><em><span style="font-size:180%;"></p></span></em></strong><span style="font-size:180%;"><div align="justify"></span></div><p align="justify"><img style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/320/fotovalbormidapulita2jpg.3.jpg" border="0" /><strong><em>Dopo la movimentata e calda settimana di luglio, che tolse il respiro fra caldo, rabbia, lavoro e proteste giornaliere, finalmente arrivò il periodo delle ferie e ne approfittai per trascorrere qualche giorno in tranquillità con la famiglia sulle montagne delle Dolomiti, nella bella valle del Cadore.<br />Eravamo ai primi di Agosto: l’aria fresca e i paesaggi da favola di quella vallata mi fecero dimenticare presto la stanchezza e lo stress del lavoro in fabbrica.<br />Lunghe passeggiate su per quei verdi prati, fin dentro alle pinete, formate da fitti abeti, alti e ritti verso il cielo. Poi ancora su, fino ad arrivare alla nuda montagna, con la sua roccia color rosa pallido. Ogni giorno potevo scegliere un nuovo itinerario, i luoghi erano vere oasi di pace e un inno alla natura.<br />Una mattina mi trovai ai piedi del monte Peralba e la sua cima illuminata dal sole fu uno spettacolo che mi costrinse a fermarmi, per meglio contemplare.<br />Sotto ai miei piedi scorreva un rigagnolo: era il Piave alla sua sorgente. </em></strong><strong><em>Non potei osservarlo senza andare con il pensiero indietro nella storia, alle battaglie e ai morti che quelle limpide acque avevano visto in passato.<br />Per un istante tralasciai quel paradiso che mi circondava, per addentrarmi nei ricordi di quello che avevo studiato sui libri di storia e in quelli che avevo sentito dai miei vecchi.<br />Così, riflettendo sulla storia di quel fiume, il mio pensiero tornò al Bormida, che avevo lasciato nero e puzzolente come sempre. </em></strong><strong><em>Anche il Bormida aveva la sua triste storia da raccontare e dei morti da ricordare.<br />Quando partii per quella vacanza, l’Acna era chiusa. Per la prima volta nella sua secolare storia l’Acna era chiusa per risanamento, una chiusura di 45 giorni, voluta dal Ministro all’ambiente Ruffolo. Nessuno di noi valligiani s'illudeva che, in un così breve periodo, si risanasse una fabbrica che vomitava veleni da oltre cento anni.<br />Mancavo dalla mia valle ormai da sette giorni ed ero ansioso di avere notizie. Ogni mattina compravo “La Stampa”, con la speranza di trovare un trafiletto al riguardo, ma, mancando le pagine locali di “Cuneo e provincia”, era raro trovare un articolo sulle pagine nazionali. </em></strong><strong><em>Sperimentai così la sete di notizie e compresi l’importanza dell’informazione.<br />Mi ronzava per la testa, quello che Renzo Fontana andava dicendo da mesi: «dobbiamo crearci un giornale nostro». Renzo era un giornalista di professione, era anche lui di Gorzegno, e, come me, aveva avuto padre e nonno in lotta sin dagli anni cinquanta per salvare il fiume. Renzo si era laureato, aveva lavorato a Genova come giornalista, ed era tornato nella sua terra, che amava, per restarci.<br />Si tuffò anche lui nella lotta contro l’Acna e in breve tempo ne divenne un attivista, sempre in prima linea. </em></strong><em><strong>Era un ottimo trascinatore e sapeva tirarsi fuori da ogni situazione, anche la più difficile, infondendo fiducia a chi gli stava vicino: «Un giornale tutto nostro, un giornale della gente per una corretta informazione». Erano queste le parole di Renzo, era quello il suo obiettivo, tutti ne condividevamo l’utilità e lo vedevamo come un sogno....e come tale difficile da realizzare.<br />Al ritorno dalle ferie, risalii la mia valle da Alessandria fino a Gorzegno. </strong><strong>Volevo vedere il Bormida con la speranza di vederlo migliorato in quei pochi giorni di chiusura dell’Acna. Così, arrivato a Cortemilia, accostai lungo la statale che costeggia il fiume. </strong></em><strong><em>Non era cambiato niente: il fiume mi sembrava ancora più nero di quando l’avevo lasciato. Feci due passi con la famiglia entrando in un bar, ebbi modo di parlare ed essere informato sugli ultimi sviluppi.<br />Altro che ferie! In quella tormentata valle, sembravo io l’unico ad aver fatto le ferie. Tante erano le novità e le iniziative in programma: i sindaci minacciavano le dimissioni e una nuova manifestazione a Cengio era in programma per l’11 settembre.<br />Quell’11 settembre eravamo 8000 persone ammassate a Cortemilia. Il Questore ci aveva vietato di manifestare a Cengio, così da Cortemilia proseguimmo e ci fermammo al confine, dove potemmo ammirare l’Acna in tutto il suo squallore. Nessuno di noi tentò di forzare il cordone di poliziotti: quello era il nostro confine, sempre più difficile da oltrepassare. Oltre quel cordone di polizia era ancora Italia, ma noi non potevamo arrivarci.<br />Quarantacinque giorni passano in fretta, così in un baleno arrivammo al 19 di Settembre, data in cui l’Acna riapriva i cancelli.<br />Tutta la valle si era attivata affinché questa riapertura non avvenisse o almeno fosse rinviata, ma non vi fu ragione.<br />Quel lunedì mattina del 19 settembre, mentre la fabbrica riapriva i battenti, le campane di Gorzegno e quelle di quasi tutti i paesi della valle Bormida, suonarono a morto.<br />In quei tocchi lenti e gravi si leggeva tutta la tristezza di una valle che stava morendo e si rendeva omaggio a tutti gli operai dell’Acna morti di cancro.<br />Nel frattempo, alla piccola stazione di Cengio, scesero dal treno tredici persone della nostra associazione, imbavagliati con foulard e con le mani legate da fazzoletti.<br />Si fermarono appena fuori dalla stazione, in silenzio e composti. Presto nella piazzetta davanti a loro si formò una piccola folla che incominciò ad insultare e schernire pesantemente i nostri amici.<br />I tredici, imbavagliati e con le mani legate, non fecero reazione alcuna. </em></strong><strong><em>Uno di loro parlò con i giornalisti intervenuti e consegnò loro un comunicato stampa, con il quale l’Associazione Rinascita ribadiva il profondo dissenso al piano di risanamento presentato dall’Acna. Nel frattempo un fischio, alzatosi dalla vicina stazione, segnalava l’arrivo del treno e i nostri eroi vi salirono compostamente, mentre dall’altra parte della strada gli insulti e le minacce si facevano sempre più pesanti.<br />Quella sera, nella piazzetta davanti alla sede dell’associazione, ci trovammo numerosi a vedere i filmati, a onorare e ringraziare i nostri tredici valorosi rappresentanti e a scambiarci commenti e proposte per i giorni a venire.<br />Il nostro calendario era sempre ricco di impegni: tra le cose più importanti a breve termine, vi era la visita a Cuneo del Presidente della repubblica Francesco Cossiga: era un’occasione per farci sentire e spiegare direttamente il nostro problema.<br />A Cairo Montenotte, in quei giorni, si svolgeva il finale del processo a tre ex dirigenti dell’Acna. Alcuni dei nostri sindaci avevano in quei giorni dato le dimissioni e altri minacciavano di farlo.<br />Il viaggio a Cuneo, per incontrare il presidente Cossiga, mi deluse un po’. Non che mi aspettassi di veder risolti i nostri problemi ....la fiducia nelle istituzioni l’avevo già persa….. ma rimasi disgustato dal modo in cui fummo accantonati in disparte e tenuti a bada con transenne, come animali pericolosi, mentre le auto blu del Presidente scortate da poliziotti in alta uniforme, attraversavano le più lussuose vie di Cuneo.<br />Il processo di Cairo ai tre ex dirigenti, invece, lo seguii con grande interesse. Le arringhe fatte dagli avvocati dell’Acna, inconfondibili in aula per quelle facce rese ancor più pallide dalle loro toghe ner, e l’emozione del giorno della sentenza.<br />Quel giorno ho speso bene e senza rimpianti il mio giorno di ferie.<br />E’ stata una mattinata di preoccupante attesa, poi l’intervallo durante la camera di consiglio e, verso le ore 16, la storica sentenza.<br />Mentre aspettavamo che il pretore uscisse dalla camera di consiglio, un brivido di freddo attraversò il mio corpo pensando al processo di trent’anni addietro, quando in un altro tribunale della Liguria si sostenne che gli scarichi dell’Acna erano fertilizzanti e condannarono 54 miei compaesani, tra cui mio padre e mio nonno.<br />Condannati perché avevano protestato per il fiume sporco.<br />Fortunatamente, quel pomeriggio a Cairo andò diversamente, il pretore Giuseppe Dagnino fu chiaro nel dichiarare che l’Acna era colpevole d'inquinamento e condannò i suoi ex dirigenti a pene variabili dai tre mesi ad un anno e tre mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali e dei danni arrecati dall’inquinamento.<br />Trattenni a stento un urlo di gioia e voltandomi, di fianco a me, vidi una donna con gli occhi umidi da lacrime di gioia e tante facce incredule e soddisfatte.<br /><br />Domenica 20 Novembre 1988<br /><br />La fabbrica in cui lavoravo da anni purtroppo aveva profanato la Domenica, questo mitico giorno della settimana, ma per gli abitanti dei nostri paesi era pur sempre un giorno di svago e di riposo.<br />Sulla piazza della Chiesa, la domenica mattina, si ritrovavano tutti: riuscivi a trovare le persone più solitarie e, inoltre, tutti quelli che in settimana dovevano allontanarsi dal paese per motivi di lavoro.<br />Era, dunque, quello un momento di comunicazione e scambi d’informazione.<br />Seguire tutte le varie assemblee e gli sviluppi della nostra lotta, era quasi impossibile anche per i più volenterosi, così la piazza nei giorni di festa era un’occasione in più per raccogliere le ultime notizie in proposito, tramite il passaparola e la lettura dei volantini affissi nell’apposita bacheca appesa ai piedi del campanile.<br />La domenica del 20 novembre 1988, appena arrivai in piazza della chiesa, notai che qualcosa di nuovo e importante era nell’aria. </em></strong><strong><em>Capannelli di persone qua e là stavano esaminando e discutendo con un giornale in mano. Mi avvicinai a loro e rimasi di stucco……era il nuovo giornale della valle Bormida. «Bravo Renzo!…ce l’hai fatta!» esclamai ad alta voce, anche se Renzo non era tra noi.<br />Girai e rigirai quel giornale tra le mani, come avessi trovato un tesoro. Avrei voluto leggerlo tutto di un fiato: gli articoli erano uno più interessante dell’altro, ma non riuscivo a gustarmelo così su due piedi, in piazza.<br />Volevo andarmelo a leggere in macchina, concentrandomi riga per riga, però non potevo andarmene così, volevo anche sentire i commenti della gente.<br />Già il titolo di quella testata colpiva tutti al cuore: «Valle Bormida Pulita». Quella frase la conoscevamo bene tutti, era diventata il nostro motto, il nostro simbolo della lotta. L’avevamo stampata su un’infinità di striscioni e cartelli e l’avevamo portata in giro per mezza Italia, da Torino a Genova, a Cengio, ad Alessandria………<br />Era apparsa su tutti i telegiornali quando a Castelnuovo Don Bosco è stato fermato il giro d’Italia, ed era sul parabrezza di tutte le auto, tramite adesivo colorato.<br />Adesso quella scritta «Valle Bormida Pulita» era lì, come titolo del nostro giornale, scritta a caratteri cubitali e con un fiore (invece del punto) sulla lettera “i“. Sulla sinistra del titolo una frase di B. Fenoglio e sulla destra una frase di A. Monti.<br />Sulla testata si leggeva inoltre: «anno 1 N° 1, periodico di informazione - autorizzazione del tribunale di Alba N° 467 del 7/11/1988». Seguiva data, indirizzo della sede, numero telefonico e fax.<br /></em></strong><strong><em>Non era un semplice volantino ma un giornale a tutti gli effetti: un giornale di sole otto pagine ma tutte da leggere, non una riga di pubblicità in quel primo numero. Alcune notizie le sapevamo già: la condanna dell’Acna al processo di Cairo, le dimissioni di 19 sindaci...ma era comunque interessante leggerne i particolari.<br />Vi erano poi notizie clamorose, come il progetto di portare gli scarichi dell’Acna a Cairo, oppure a Savona, tramite un “tubo” e quello della costruzione di un inceneritore a Cengio sotto il falso nome di impianto per «ricuperi solfati».<br />La notizia bomba, quella che destò più scandalo e che a qualcuno ruppe le uova nel paniere, fu quella pubblicata in ultima pagina dal titolo: «Due miliardi per una fotocopia».<br />In quell’articolo era chiaramente documentato come l’Ansaldo, incaricata dal governo di fare un piano di risanamento per la valle Bormida, non aveva fatto altro che fotocopiare il piano fatto in precedenza per il bacino del Lambro – Olona - Severo, cambiandone semplicemente nomi e cifre.<br />Quella fotocopia, come diceva il giornale, era costata al Governo la bellezza di due miliardi di lire. Non fu un semplice articolo ma un vero e proprio documento e una clamorosa denuncia. Ma era tutto il giornale a non essere come gli altri, che si sfogliano e si buttano: andava letto, memorizzato e conservato.<br />Per poter essere libero è stato fatto senza finanziamenti alcuni e con tanto volontariato.<br />Da molti è stato temuto e criticato, per noi è stato di grande aiuto ed è giusto ricordare e ringraziare tutti quelli che vi hanno lavorato con coraggio, perdendoci dietro notti di sonno e danaro.<br /></em></p></strong>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128586760903539012005-09-14T10:17:00.000+02:002005-11-17T15:58:27.270+01:00cap. 9 uno strano festival<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">UNO STRANO FESTIVAL</span><br /><br />Una lampadina appesa ad un filo intrecciato che scende dal centro del soffitto di legno, un grosso ceppo che scoppietta nel camino, la vecchia madia ingombra di bicchieri sporchi di vino e un piatto di gallette in centro tavola.<br />Tutto intorno, seduti a cerchio, metà “bricco”, uomini, donne, bambini. Tanta gente ma un silenzio raccolto quando, da quella scatola di legno illuminata, uscivano le note di Claudio Villa con la sua “Buon giorno tristezza”.<br />Era l’anno 1955 ed era il primo anno che le note di un festival entravano fra quelle vecchie mura.<br />Da quella sera fino al Febbraio del 1989, quello era il quadro che mi si presentava davanti ogni volta che si parlava del festival di San Remo. Da quel 25 febbraio anche quel quadro si è rotto per lasciare il posto ad un altro, più triste e freddo.<br />Anche quella volta la colpa di tutto era quella maledetta fabbrica che, a poco a poco, ha distrutto i miei ricordi più belli lasciandomi il freddo dentro.<br />Quando salii sul pullman diretto a San Remo, quel sabato grigio di fine febbraio, sapevo benissimo che non mi sarei mai seduto su quelle poltrone di velluto nel teatro Ariston, ma non immaginavo neanche di arrivare a piedi, sotto la pioggia e controllato a vista da poliziotti armati di manganelli. Che le cose non andassero per il verso giusto si era capito da subito, appena saliti sul bus che ci aspettava sulla piazza di Gorzegno. Il nostro era l’ultimo pullman della vallata, quello più vicino alla Liguria, dalla quale ci separavano una quindicina di chilometri. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Quel giorno, però, per raggiungere la terra ligure abbiamo dovuto virare in direzione opposta e passare da Cortemilia, prendere la statale per Piana Crixia ed entrare in autostrada a Carcare.<br />Tutta quella strada per evitare la “frontiera” di Cengio ed evitare così inutili provocazioni. Quei chilometri in più non erano un grosso problema, era un atto di umiltà che avevamo accettato: il vero problema era un altro, era quel divieto emesso dal pretore d'Imperia che ci impediva di manifestare su tutto il territorio del comune di San Remo per l’intera giornata di sabato.<br />Fu così che ci trovammo tutti ammassati nella piazza più alta di Imperia, davanti alla questura.<br />Il paesaggio era ottimo, non c’è che dire, da una parte la collina verde di uliveti, aranci e mimosa, dall’altra l’immensità del mare e sotto di noi la città.<br />Nessuno di noi però era lì per ammirare il panorama, anzi, nessuno di noi voleva essere lì, la nostra meta era San Remo davanti all’Ariston, dove quella sera sarebbe stato pieno di telecamere e giornalisti.<br />Purtroppo il nostro obiettivo era lontano, sempre più lontano, eravamo prigionieri in quella maledetta piazza mentre alcuni nostri attivisti dell’associazione, con una delegazione di sindaci della valle, cercavano di trattare con il questore per far ritirare il divieto.<br />Quella piazza ci stava stretta, per noi che eravamo in millecinquecento, con ventidue pullman e una trentina di macchine.<br />Era ormai più di un’ora che scalpitavamo sulle mattonelle nell'attesa che si sbloccasse la situazione, e cominciavamo a essere stanchi e delusi. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Ci sembrava di avere tutto il mondo contro, dal questore alle forze dell’ordine, ai sindacati, e come se non bastasse, anche il cielo. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Verso le 17:30 infatti anch’esso se la prese con noi, versandoci addosso acqua a catinelle. I portici erano gremiti di gente e così tutti i bar della zona. Io mi allontanai da solo giù dalla discesa che attraversa il paese e scende verso il mare.<br />Entrai in un bar per un caffè, il locale era quasi vuoto, così cercai un tavolino vicino ad una stufetta a gas e mi accomodai.<br />I quattro clienti e il proprietario del bar stavano parlando tra di loro, in dialetto legure, e il discorso era proprio impostato sulla nostra manifestazione bloccata nel piazzale della questura.<br />Io finsi di non seguirli, ma cercai di capire quanto fossero informati sulla questione e quale fosse il loro punto di vista. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Sul più bello il barista puntò il dito verso di me e disse, abbastanza sicuro di sé: «tu devi essere uno di loro»……<br />Io, che proprio non mi aspettavo una domanda così diretta da uno sconosciuto, mi sentii come l’apostolo Pietro nell’orto dei Getsemani, quando di fronte ai soldati per tre volte rinnegò Gesù.<br />Nonostante io, piemontese, mi trovasi in terra nemica, non rinnegai la mia valle e i miei amici e non esitai a rispondere in modo austero: «Sì, sono uno di loro».<br />Mentre pronunziavo quelle parole, dalla porta d’entrata spuntò Walter, un amico, uno dei nostri e confesso che mi sentii più sollevato.<br />Il barista si dimostrò abbastanza informato e, pur condividendo i nostri obiettivi, cominciò a criticarci per il modo in cui portavamo avanti la nostra protesta. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Secondo lui con quelle manifestazioni pacifiche perdevamo solo tempo e danaro. A suo parere dovevamo passare alle manieri forti e, per dimostrare che non scherzava, disse apertamente: «procuratevi 500 milioni di lire in contanti, io vi presento delle persone che vi fanno l’Acna rasa al suolo, e se volete solo dare un segnale forte, vi bastano 50 milioni……».<br />Chi di noi non ha detto almeno una volta «ci vorrebbe una bomba!»?...…...però sono cose dette così, in un momento di rabbia, nessuno di noi l’ha mai pensato seriamente. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Invece quel barista non scherzava, ci accompagnò sulla porta e ci indicò un grande dipinto, vicino all’entrata, con il ritratto a mezzo busto di Mussolini.<br />Salutandoci ci disse ancora: «pensateci,…..non buttate via lo scontrino fiscale che sopra troverete il mio numero di telefono».<br />Confesso che rimasi sconvolto e quello scontrino lo stritolai nella mia tasca prima di raggiungere il mio gruppo.<br />Quando da un campanile lontano sentii battere la mezzanotte, noi camminavamo già in territorio Sanremese, una maratona lunga oltre quattro chilometri incominciata dalla periferia di Arma Di Taggia, dove fummo fermati nuovamente con i nostri pullman. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Una lunga e composta colonna formata da millecinquecento persone tra donne, uomini e bambini che marciavano a piedi sulla Via Aurelia, scortati da poliziotti armati di manganelli.<br />A cosa servissero quei manganelli, nessuno di noi riusciva a capirlo, eravamo un branco di povera gente, sfiniti, bagnati, umiliati con un solo obiettivo in testa: quello di arrivare davanti al teatro Ariston, dove stavano suonando le ultime note del festival e urlare la nostra canzone: «Vogliamo la vita in una Valle Bormida Pulita».<br />Quando finalmente arrivammo ad un passo dalla nostra meta, ecco di nuovo le transenne di ferro davanti a noi a sbarrarci la strada. Quelle barriere oramai le trovavamo davanti ovunque, ma noi che avevamo sulle spalle cento anni di umiliazioni, non ci abbattemmo più di tanto.<br />Da quella piazzetta in cui ci trovavamo, rinchiusi e sorvegliati a vista, si vedevano le luci del festival e il tempio della ricchezza. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>A noi era negato anche l’accesso ai bar di quella piazza, in quelli potevano andare le signore in pelliccia, i vip o i normali turisti.<br />Noi non potevamo confondersi con gli altri, dopo sette ore di attesa e marcia sotto la pioggia avevamo un marchio inconfondibile.<br />Cantammo, anzi urlammo i nostri slogan da quella piazza, ma ormai la nostra voce era rauca. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Aspettammo con pazienza la fine del festival, dentro al teatro vi era un piccolo gruppo dei nostri che erano arrivati in treno da Imperia nel tardo pomeriggio. Quella piccola delegazione, dentro il festival, fece miracoli. Prima negoziarono con la Rai uno spazio televisivo (non in quella serata) in cambio di non disturbare il festival con colpi di scena. Poi, parlando con alcuni cantanti più sensibili, distribuirono cappelli e spille con il nostro simbolo «Valle Bormida Pulita».<br />Noi fuori riuscivamo ad avere saltuarie informazioni da qualche “Angelo Custode”, e anche se erano notizie frammentarie bastavano a tenerci su con il morale.<br />La prima buona notizia fu che Gino Paoli e il suo gruppo avevano cantato con il nostro distintivo appeso alla giacca.<br />Da un angolo della piazza dove eravamo prigionieri, ci si immetteva in una viuzza che costeggiava il retro del palazzo dove si svolgeva il festival. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Lungo quella stretta via erano parcheggiati alcuni furgoni di operatori Rai, con sopravarie apparecchiature elettroniche tra cui alcuni monitor dentro i quali scorrevano le immagini in diretta del festival. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Nonostante anche quella via fosse transennata, qualcuno di noi, a turno, riusciva a eludere la sorveglianza e intrufolarsi tra i furgoni, dai quali si riusciva a vedere qualche immagine e qualche nota proveniente dall’interno della sala. Da quella postazione si sentivano anche chiaramente gli slogan provenienti dalla nostra piazza.<br />Quel gruppo di operatori Rai, impegnati nelle riprese televisive, ci fecero pervenire un messaggio di solidarietà: «solidali con la vostra protesta, impegnati nella ripresa del 39° festival ma comunque vicini», e a seguire una trentina di firme.<br />Questo gesto di solidarietà, seppur semplice, ci diede un po’ di ossigeno per continuare, per resistere ancora un po’, fino a quando ci arrivò la notizia che i famosi cantanti Romina e Albano, piazzatisi poi al terzo posto, stavano cantando in diretta sventolando il nostro cappello con su scritto «Valle Bormida Pulita» e così pure i quattro del coretto avevano in testa quel nostro berretto.<br />Il nostro simbolo era entrato nelle case di mezza Europa, magari pochi sapevano il significato di quella scritta, ma per noi fu una grande conquista, e salimmo soddisfatti sui pullman che da ore ci aspettavano, per far ritorno nella nostra valle.<br />Un forte sobbalzo del pullman sulle rotaie di un passaggio a livello mi svegliò dal dormiveglia e aprendo gli occhi, vidi sotto di me le luci dell’Acna e i suoi fumi, che si alzavano lenti al cielo.<br />Pensai a quegli operai che avevano lavorato in quella fabbrica per tutta la notte, tra i veleni e la paura, mentre alcuni suoi delegati, sindacalisti e amministratori, erano comodamente seduti in quel tempio di ricchezza, tra organizzatori del festival e dirigenti di polizia.<br />Avrei desiderato tanto lanciare un messaggio a quegli operai, dirgli che io non avevo niente contro di loro, che tutti noi non avevamo nulla contro di loro e il nostro sogno era quello di lottare, fianco a fianco, contro i veri colpevoli: perché tutti, operai e valligiani, lottavamo per la nostra sopravvivenza ed entrambi eravamo usati per gli sporchi interessi di qualcuno.<br />Quei pensieri cominciavano a confondersi con le note di Albano e Romina e con quelle di Claudio Villa, rividi una vecchia cucina piena di gente, i bicchieri sporchi di vino e il fuoco che ardeva nel camino…………ma ecco che si accesero le luci e il pullman si fermò nella piazza dietro alla chiesa, Gorzegno dormiva beata.</em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128587005266130112005-09-13T10:19:00.000+02:002005-11-17T16:25:58.863+01:00cap. 10 tre giorni di umiliazioni<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">TRE GIORNI DI UMILIAZIONI</span><br /><br />19/20/21/ MAGGIO 1989….TRE GIORNI CHE NON POSSO E NON VOGLIO DIMENTICARE………<br /><br />“Le strade che dal Piemonte portano al mare passano da Cengio..………” suonavano così le parole di Don PIER PAOLO, urlate al megafono in piazza a Cengio, nel bel mezzo ad una manifestazione contro l’ACNA.<br />Con quelle parole Don Pier Paolo auspicava che un giorno, prima o poi, piemontesi e abitanti di Cengio si sarebbero trovati d’accordo nel lavoro e nello svago.<br />Da quel giorno sono trascorsi parecchi anni. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Quella strada che porta al mare è stata percorsa da migliaia di piemontesi, ed io stesso l’ ho percorsa centinaia di volte.<br />L’ ho percorsa in macchina, qualche volta in bicicletta, a volte da solo, a volte in compagnia.<br />Saliceto è l’ultimo paese del Piemonte, dopo il quale, proseguendo verso il mare per un paio di chilometri, incomincia un breve tratto di salita in cima alla quale finisce il Piemonte e incomincia la Liguria.<br />In quel punto, sulla destra, si intravede lo stabilimento dell’ACNA, circondato dai suoi veleni.<br />Quel luogo che divide le due Regioni, si chiama “pian Rocchetta”, la salita prima del confine viene anche detta “alla Madonnina” e prende il nome da una cappella con il tetto aguzzo che è sulla destra a metà della salita.<br />Un tratto di strada tra la folta vegetazione, insignificante per un normale passeggero, ma drammatico per chi come me ha vissuto quei tre giorni “indelebili “ del 19-20-21 Maggio del 1989.<br />Ancora adesso, percorrendo quei trecento metri che separano il Piemonte dalla Liguria, mi sento attraversare il corpo da una sensazione strana di freddo e di ribrezzo.<br />Davanti a me vedo ancora la gente seduta per terra in mezzo all’asfalto. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Sento ancora le urla di spavento, i sassi rimbalzare nel fiume, il rombo dei trattori, gli spari e i fumi dei lacrimogeni.<br />Sento ancora i colpi delle manganellate sulle donne e sui bambini.<br />Era un triste venerdì di Maggio, erano trentun giorni che controllavamo a vista l’ACNA con la nostra presenza giorno e notte. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Sono stati trentun giorni di presidio, tra il freddo e l’umidità, laggiù in quella terra maledetta da DIO, tra puzza, veleni, ma, peggio ancora, tra insulti e beffe.<br />Tutta la valle in quei trentun giorni ha avuto modo di conoscere la parte più porca dell’ACNA: lo scarico, le colline di rifiuti tossici sulle quali vi cresceva l’erba con colori strani. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>In molti hanno visto l’acqua che scendeva dal cielo come benefica pioggia, a contatto con la terra, formare pozzanghere rosse. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>E’ stato un via vai di gente che arrivava, osservava e ripartiva triste in volto come si fa quando si rende omaggio ad una persona defunta.<br />La gente vedeva, capiva e la nostra presenza costante rendeva la fabbrica schiava, con le mani legate.<br />E’ per quel motivo che provarono in tutti i modi, senza mai riuscirci, a cacciarci via da quel buco.<br />Ogni volta che provavano a cacciarci da quel fazzoletto di terra, noi sempre più uniti e numerosi a resistere.<br />Finché un giorno la direzione aziendale, d’accordo con i sindacalisti e col sindaco di Cengio, escogitò un vero e proprio complotto.<br />Organizzarono per il pomeriggio di venerdì 19 un'assemblea pubblica, sul ciglio della strada di Pian Rocchetta, a poche centinaia di metri dal presidio.<br />La notizia si diffuse in valle nella mattinata di Venerdì, e tutti capimmo il rischio che correvano i nostri amici imprigionati sotto la tendopoli in riva al fiume.<br />Io arrivai a Pian Rocchetta verso le 14:00: sul ciglio della strada, su per la Madonnina, c’erano già una ventina di macchine.<br />In cima alla salita, proprio sul confine con la Liguria, la strada era sbarrata da numerosi carabinieri e poliziotti. Una quarantina di valligiani stava discutendo con le forze dell’ordine: le disposizioni erano indiscutibili, i Piemontesi non potevano passare.<br />Dall’altra parte del cordone umano invece, chi arrivava da Cengio, poteva tranquillamente scendere dalla stradina che portava al fiume.<br />A noi non rimaneva altro che aspettare impotenti, cercando in tutti i modi di avere notizie dei nostri.<br />Le notizie che ci arrivavano non erano tranquillizzanti.<br />Qualcuno al mattino era riuscito a scendere e al presidio erano al massimo una cinquantina, tra cui tante donne.<br />La gente intervenuta all’assemblea aveva già cominciato ad insultare i Piemontesi.<br />Dalla bassa valle Bormida continuava ad arrivare gente e alle ore 16 eravamo circa trecento persone, bloccate sulla statale.<br />Oltre il confine le persone continuavano ad essere libere di scendere e salire dal fiume. La situazione degenerò quando dal presidio salì sulla statale una macchina con tre persone a bordo. La macchina era tutta ammaccata, dalla cappotta alla portiera e si fermò in mezzo a noi. Le tre persone che scesero erano stravolte, occhi sbarrati dallo spavento. EBE (una delle persone a bordo) era irriconoscibile. Aveva il vestito stracciato e gli occhi fuori dalle orbite per lo spavento, sembrava in preda al demonio.<br />Fece in tempo ad aprire la portiera e urlare con tutta la voce che aveva in corpo: ”giù al presidio…li ammazzano tutti!…li ammazzano tutti!”. Poi stramazzò al suolo ansimante.<br />Ci fu un tumulto generale, ognuno agì a modo suo.<br />Qualcuno cominciò ad imprecare contro le forze dell’ordine, qualcuno invece cercò di trattare con loro per scendere scortato al presidio.<br />Io, spinto da una forza misteriosa, mi tuffai senza neanche riflettere giù dalla scarpata verso il fiume, La vegetazione era fitta di lunghi rovi e liane intrecciate, solo un animale selvatico o una persona imbestialita, poteva farcela a scendere a valle.<br />Quando finalmente arrivai sulla ferrovia, mi resi conto di non essere solo. Altri disgraziati come me avevano tentato la stessa avventura, in punti diversi ma con lo stesso risultato: vestiti strappati e graffi dappertutto.<br />Seguendo la ferrovia sarebbe stato facile raggiungere il presidio, ma poco più avanti, su di una galleria che avremmo dovuto oltrepassare, c’era qualche carabiniere e tanti Liguri che già cominciavano a urlarci parolacce e tirarci pietre, come fossimo dei cani randagi.<br />E noi, come cani mortificati, indietreggiammo di qualche passo e ci fermammo a riflettere.<br />Il percorso della ferrovia era da scartare, l’unico tentativo era scendere ancora un po’ e seguire controcorrente il Bormida, che in quel punto faceva un lungo giro intorno alle case abbandonate di Brignoletta.<br />Per avere maggiore probabilità di riuscita era consigliabile aspettare la notte per non essere visti.<br />Indietreggiai ancora qualche passo e mi sedetti da solo ai piedi di un cespuglio.<br />Lì la mia personalità si sdoppiò.<br />C’era una parte di me che mi spingeva avanti coraggioso, a testa alta, pronto ad affrontare qualsiasi situazione pur di arrivare a portare un sostegno ai miei amici al presidio. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>L’altra parte però mi spingeva indietro, mi metteva davanti la famiglia in ansia, l’impegno con il lavoro. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Mi sentivo metà leone e metà coniglio. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Vinse, non senza sofferenza, la parte del coniglio.<br />Un mio conoscente, che chiamerò PIERO, ebbe più coraggio di me, proseguì verso il fiume passando a ridosso della “schifosa” discarica di Pian Rocchetta e attese la notte accovacciato in una radura, in silenzio, senza neanche poter tossire, perché poco lontano, su un ponticello, alcuni sostenitori dell’ACNA erano di sentinella.<br />Da quel punto infernale si udivano gli insulti urlati al megafono, rivolti ai piemontesi: «vi cacceremo come topi di fogna!» e poi ancora «bagasce verdi!…bastardi!…».<br />Verso le 20:30 una tempesta di sassi e il rumore dei rami rotti a poche decine di metri da PIERO.<br />Un gruppo di Piemontesi, forse venti, forse quaranta, diretti verso il presidio erano stati scoperti e presi d’assalto.<br />Celerini e Carabinieri, con pistole e manganelli alla mano, accompagnarono gli sfortunati avventurieri sulla statale, come fossero un branco di animali.<br />PIERO pazientò ancora qualche ora e la notte finalmente scese.<br />Quelle persone sul ponte emanavano ombre gigantesche sotto la luna piena e facevano ancora più paura.<br />Di colpo un fruscio e un rumore di passi. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>PIERO si rimpicciolì dallo spavento, ma presto comprese che il gruppo di persone arrivate alle sue spalle era Piemontesi, spaventati come lui e impegnati per la stessa causa.<br />Gli insulti con il megafono continuavano e le rocche al di là del fiume ne alteravano la voce con l’eco.<br />Ad un tratto, più in su, verso le case disabitate di Brignoletta, c’è un tafferuglio, le lunghe ombre sul ponte si dirigono in quella direzione…..è il momento di agire.<br />Il gruppo con PIERO, si guardò negli occhi senza parlare e partì in silenzio verso l’accampamento.<br />Si scorgono le prime tende in lontananza, ancora qualche passo, poi la scena, da film western, che commuove e nello stesso tempo da forza e coraggio al gruppo.<br />Uomini e donne in piedi intorno al falò che cantano tenendosi per mano.<br />Le ultime centinaia di metri, PIERO e i suoi, le corsero tutte d’un fiato, incuranti dei sassi che piovevano dall’alto, senza sentire neanche le manganellate dei Celerini: è fatta!…abbracci,lacrime, vere urla di gioia.<br />Con quella carica di ottimismo nessuno si preoccupò nel vedere i Celerini del reparto antisommossa del super carcere di Cuneo avanzare in assetto di guerra, incitati dai Cengesi al megafono.<br />La carica ebbe inizio e i Piemontesi si sdraiarono a terra attorno al fuoco, cantando “viva l’Italia” di De Gregori.<br />Uno a uno, di peso, li caricarono sui furgoni della Celere e li portarono sulla statale a Pian Rocchetta, in territorio Piemontese.<br />Caricato l’ultimo, le forze dell’ordine si scagliarono sulle tende danneggiandole rovinosamente, come avessero voluto scaricasi di dosso chi sa quale vendetta.<br />Erano le 4 del mattino di SABATO 20 MAGGIO.<br /><br />Altra giornata di "carica"<br /><br />Noi gente della valle BORMIDA, non ci arrendiamo così facilmente alla prepotenza del potere, consapevoli di essere dalla parte della ragione, e il solo fatto di essere più deboli non basta a fermarci.<br />E così al Sabato, verso mezzogiorno, quando sono arrivato nuovamente a Pian Rocchetta, ho trovato mezza valle in strada, bloccata da un triplo cordone di polizia, armati di manganelli, visiera del casco sul volto e lo scudo di plastica davanti al corpo.<br />Dietro al triplice cordone, i furgoni carichi di altri poliziotti.<br />Il nostro obiettivo era di riprendere il presidio, per continuare a controllare la fabbrica dei veleni….ma con quello schieramento non sarebbe passata neanche una talpa.<br />La gente dalla bassa valle continuava ad arrivare, uomini giovani e vecchi, donne e bambini.<br />Era una vera marea di gente, e già si sentivano i rumori dei trattori che arrivavano come rinforzi e come simbolo del lavoro di campagna, quel lavoro di campagna che è stato il primo a subire i danni dell’inquinamento.<br />Ed eccoli allora i trattori: uno, cinque, dieci, arrivano e si sistemano davanti e si fermano a pochi passi dai poliziotti.<br />Si guardano in faccia come per valutare chi è il più forte.<br />La tensione sale ma poi prevale il buon senso.<br />Alcuni dell’associazione “Val Bormida Pulita”, con qualche sindaco e qualche senatore piemontese, stavano trattando con il sindaco di Cengio, per poter tornare al presidio. Il tempo passava e non c’erano segnali di accordo, intanto, voltatomi indietro, vedevo tutta la salita della Madonnina gremita di gente, e dietro ancora altri Carabinieri chiudevano la strada con i cellulari di traverso sulla strada.<br />Eravamo in sostanza chiusi come in una gabbia, ed eravamo tutti consapevoli che la situazione si stava facendo critica.<br />I motori dei trattori erano spenti, i Celerini in prima fila mi sembravano molto agitati, come se fossero impazienti di attaccare.<br />Provai a guardare uno a uno gli occhi di quei volti giovani e cercai di capire cosa potevano pensare di noi, di quella situazione.<br />Certamente loro non sapevano nulla di noi e si limitavano a eseguire ordini.<br />Come il trattore aspettava il comando dell’uomo, così il giovane Celerino aspettava il comando da un superiore.<br />Quel comando non tardò ad arrivare e trovò tutti presi alla sprovvista.<br />In contemporanea un trattore fece avviamento e ci furono quattro spari di fucile: due a destra e due a sinistra. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Fu tutto un fumo e un inferno di manganellate.<br />Tutti che urlavano e non sapevano dove scappare.<br />E’ una scena che rivedo chiara e nitida a distanza di anni, ma che con la penna non sono in grado di descrivere.<br />Io ricevetti solo una manganellata di striscio sull’orecchio sinistro, e quella mi penetrò nel cuore ferendolo moralmente.<br />Mi sentivo così umiliato e offeso dentro che non sentivo neanche il male fisico.<br />Il tempo di prendere fiato, poi d’un tratto mi sentii trasformato.<br />Vidi la situazione sotto un altro punto di vista, accettai quella manganellata non come un’umiliazione, ma con onore.<br />Sì proprio così, finalmente anch’io stavo soffrendo la mia parte in quella triste storia: avrei potuto guardare in faccia gli eroi che avevo abbandonato la sera prima, senza più arrossire.<br />Sono tornato sui miei passi, non indietreggiai più, ma il tumulto era grande e la gente correva coprendosi gli occhi.<br />Ebbi modo di aiutare un ragazzo in difficoltà, poi trovai DEBORA che piangeva spaventata, perché suo papà stava sanguinando.<br />Il fumo dei lacrimogeni e il bruciore degli occhi e della gola mi fecero perdere l’orientamento.<br />Non so se passò un minuto o un’ora, ma quando mi guardai intorno, la strada che conduceva a valle, ai nostri paesi, era libera. I Carabinieri avevano tolto le loro camionette.<br />Sul confine invece tutto era come prima: i Celerini erano di nuovo al loro posto, col casco e la visiera in testa, lo scudo e il manganello in mano.<br />Erano pronti per un nuovo attacco, ma noi avevamo il morale a terra e adagio, adagio, dopo averci fissato appuntamento per l’indomani, ce ne andammo garbatamente. Ancora una volta aveva vinto la forza e la prepotenza.<br />Quella notte, sotto la tendopoli semideserta al presidio, si fermarono a rappresentarci i Senatori Carla Nespolo e Giuseppe Visca, l’On. Rosa Filippini, il Consigliere regionale ligure Lasagna, i Sindaci Barabino (di Terzo) e Toppia (di Perletto).<br /><br />Domenica 21<br /><br />Per il terzo giorno consecutivo mi trovai nel medesimo tratto di strada sul confine della Liguria.<br />La scena sempre la stessa, tanta gente intorno a me, la strada sbarrata dai poliziotti e i Celerini armati fino ai denti.<br />Nei volti che mi circondano, leggo tanto sconforto, stanchezza e pessimismo.<br />Siamo in tanti ma ci sentiamo soli e abbandonati da tutti.<br />Nessuno ha più voglia di urlare: niente slogan, nessuna imprecazione, solo qualche mormorio qua e là. Urlare non serve, tanto, nessuno ci sente.<br />La trattativa col Sindaco di Cengio è ricominciata e per noi, seduti sull’asfalto bollente dal sole di Maggio, il tempo sembra non passare più.<br />Finalmente arriva la notizia, l’accordo è stato raggiunto!<br />Ci viene spiegato chiaramente al megafono: si può accedere al presidio non più di cinque persone alla volta, dette persone dovranno essere identificate e dovranno lasciare le loro generalità su di un registro.Anche i Liguri possono accedere al presidio con le stesse modalità dei Piemontesi.<br />Già da subito si può scendere a quel che resta del presidio e in tanti si fanno avanti e formano tanti gruppetti da cinque persone.<br />Ad un certo punto vengo identificato da un impiegato comunale del mio paese, che mi invita ad andare con lui al presidio per smontare quello che resta della mia tenda da campeggio che avevo piazzato la prima sera del presidio, il 20 Aprile.<br />Non provo neanche a descrivere quello che ho provato nel ritornare in quel luogo, non ne sarei capace.<br />La spola da Pian Rocchetta al greto del fiume continuò a gruppi da cinque persone, fino a sera inoltrata, e dopo aver reso omaggio a quel luogo “profanato” abbiamo fatto ritorno alle nostre case mestamente.<br />Ognuno con i suoi ricordi, le sue delusioni, le sue considerazioni.<br />Ognuno di noi aveva qualcosa da raccontare e qualcosa da tacere.<br /></em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Oggi sono passato da Cengio per l’ennesima volta.<br />L’ACNA è chiusa anche se alcuni camini fumano ancora, percorrendo quel tratto di strada, ho rivissuto seppur per pochi minuti, le emozioni e i brividi di quei tre giorni. Sono passati tredici anni e non ho ancora dimenticato.<br />Passerò ancora per quella strada che porta al mare, mi fermerò ancora al bar o in festa a Cengio.<br />Non porterò rancore a nessuno ma non chiedetemi di dimenticare.<br /><br />MARIO BERTOLA<br /></div></em></strong>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128587124551720912005-09-12T10:24:00.000+02:002005-11-17T18:26:14.446+01:00cap. 11 il meglio del presidio<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">IL MEGLIO DEL PRESIDIO<br /></span><br />La nostra Langa, appena sveglia dal lungo sonno invernale, si trovava ad affrontare intere giornate di pioggia. E’ un fenomeno normale nel mese di aprile, anzi è di buon auspicio per la nuova annata, lo dicono chiaramente i vecchi e saggi proverbi contadini: «Aprile ha trenta giorni ma se piove trentuno non fa male a nessuno».<br />Giù, al presidio, vivevamo quelle giornate con l’umidità che ci entrava nelle ossa e il falò, che ardeva perennemente dalla sera del 20 Aprile, era di grande aiuto ma non bastava a toglierci di dosso quell’umidità e il gelo che era dentro i nostri cuori.<br />I nostri piedi continuavano a calpestare quelle pozzanghere d'acqua rossa e i nostri occhi erano sempre puntati verso il fiume che si gonfiava e si avvicinava sempre di più, minacciando le nostre tende.<br />La mia piccola, bella, cara tenda non era più sola, ma era circondata da altre, più grandi e capienti, complete di lettini e coperte. C'era pure una costruzione precaria fatta di assi e nylon, che fungeva da salone per ritrovo comunitario.<br />In quel salone, parecchie sere, ci riunivamo in trenta o quaranta persone a parlare, discutere sul da farsi e sentire le ultime notizie sullo sviluppo della giornata.<br />La gente veniva da tutta la Valle Bormida, anche da paesi dell’Alessandrino come Cassine e Borgoratto, erano donne e uomini di tutte le età, operai, impiegati, contadini……Sono nate così nuove conoscenze e tra volti nuovi, si mettevano assieme le idee e si valutavano le migliori.<br />Si trovava anche il momento per cantare, accompagnati da una fisarmonica e da una chitarra, le donne impastavano e cuocevano delle favolose frittelle e il profumo di fritto s'intrecciava con quello dei veleni circostanti.<br />C'erano le “friciule” della signora Romana, che meritano un plauso a parte per la loro fragranza e il profumo irresistibile……così le giornate finivano sempre in una festa.<br />Trentun giorni e trentun notti abbiamo calpestato quel greto di fiume con i suoi veleni, per trentun giorni e trentun notti abbiamo respirato quell’aria acre che ci serrava la gola.<br />Ne abbiamo visto di cose in quei giorni!……<br />Quante provocazioni, emozioni, paure!<br />Ma la cosa che ci faceva più rabbia non erano le provocazioni degli operai: loro, lo sapevamo, erano ricattati per difendere il sacrosanto diritto di lavorare; la cosa peggiore era il nostro senso di impotenza, la paura di marcire lì in quel buco di terra squallido senza che, chi di dovere, venisse a controllare le nostre ragioni.<br />Quella notte non riuscivo a rilassarmi sotto la grande tenda militare.<br />I canti e le voci, provenienti da intorno al falò, si facevano sempre più tenui fino al silenzio più assoluto, mentre qualcuno che dormiva sotto la mia stessa tenda incominciò a russare.<br />Mi alzai allora a tentoni, senza accendere la torcia elettrica per non disturbare e uscii fuori andandomi a stiracchiare vicino al fuoco.<br />Non pioveva più dalla sera precedente e nel cielo grigio s'era aperto uno spiraglio stellato. L’aria, però, era ancora umida e mi avvolsi bene la coperta intorno al corpo. Sopra la mia testa, sul muro di cinta, un guardiano dell’Acna, in tuta e con un casco in testa, mi stava controllando immobile.<br />Io rimasi indifferente intorno al falò con la speranza di assopirmi un po’, ma erano quasi le 6 del mattino e, dall’interno dell’accampamento, qualcuno si muoveva già per andare al lavoro.<br />Quel mattino credevo proprio di rimanere solo: della ventina di persone che avevano bivaccato al presidio quella notte eravamo rimasti in due.<br />Con me c'era Patrizio Fadda, un impiegato postale di Cassine (AL), un ragazzo giovane e dinamico che rimediò subito alla carenza di persone, inventandosi qualcosa per attirare l’attenzione dall’interno dello stabilimento.<br />Uscimmo dall’accampamento, armati di carta e penna, macchine fotografiche e rotella metrica. Iniziammo a prendere misure e scrivere sulla carta, misuravamo la distanza dal muro di cinta al fiume, poi la distanza dal fiume ai vari pozzetti d’ispezione che erano sul greto e scattammo parecchie fotografie.<br />Passammo a palmo a palmo il letto del fiume, evidenziando alcuni punti in cui dalla sabbia tracimava del liquido rossastro e riempimmo, usando guanti e mascherine, alcuni botticini di quel liquido.<br />Inizialmente non pensavamo che quella nostra costante e meticolosa ispezione, ci appassionasse così tanto, eravamo partiti quasi per gioco, dando risalto ad ogni piccolo gesto, scattando fotografie anche con il rullino finito, usando tutte le sceneggiate possibili per attirare l’attenzione del personale dell’Acna che ci stava osservando ininterrottamente.<br />Il nostro scopo era anche quello di farci notare....e ci riuscimmo perfettamente. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>I nostri controllori, infatti, si agitavano sempre di più e incominciarono a comunicare via radio con la direzione.<br />Noi, indifferenti, continuavamo il nostro lavoro, che trovavamo sempre più utile e interessante.<br />Di tanto in tanto mi recavo allo scarico: quello buttava fuori incessantemente i suoi veleni diluiti nell’acqua, la quale cambiava tonalità di colore col passare delle ore, a volte più rossastra altre volte più marrone e a tratti schiumosa.<br />Era quello il punto dove moriva il nostro povero fiume.<br />Era quello il punto in cui il Bormida, con le sue acque ancora chiare nonostante avessero già lambito le collinette di rifiuti dell’Acna, veniva aggredito da quelle velenose dello scarico in una lotta impari e, dopo aver girato in un vortice artificiale, scendeva rosso di veleno giù per la nostra cara valle.<br />Era quella una scena alla quale non si poteva rimanere indifferenti: ogni volta mi allontanavo da quel luogo con un senso di vuoto nello stomaco ed una vampata di calore in faccia.<br />Il fischio della sirena all’interno della fabbrica ci ricordava che era giunta l’ora di pranzo.<br />Intorno al falò vicino alla tendopoli si era formato un gruppetto di sei persone, forse sette.<br />Ci conoscevamo tutti, se non per nome, almeno di vista.<br />Tutti si erano già incrociati qualche volta al presidio o in qualche manifestazione.<br />Solo uno di loro era nuovo, al presidio non si era mai visto prima e neanche alle manifestazioni. Io però lo conoscevo bene perché era un mio compaesano e infatti, appena mi vide, il suo volto si rallegrò, venne a parlarmi e si dimostrò subito più rilassato e a suo agio.<br />Patrizio ed io decidemmo di mangiare un panino intorno al fuoco anche se avevamo a nostra disposizione una tenda attrezzata per la cucina ed una adibita a magazzino piena di viveri. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Gli altri avevano già mangiato ed il nuovo arrivato aveva il suo cestino pieno di viveri, dal quale tirò fuori un lungo salame, di quelli che si fanno mangiare con gli occhi, ed incominciò a tagliarlo, offrendolo a tutti. E così fece anche con il buon pane fatto in casa, con la frittata, il vino e le mele renette.<br />Era di animo buono e generoso quel mio compaesano, un arzillo pensionato, uomo tipico della nostra Langa, semplice e cordiale. Una di quelle persone che nella vita hanno sempre messo al primo posto la famiglia e il lavoro: mi ha fatto tenerezza quando ci confidò, quasi per scusarsi, che lui non era mai venuto al presidio perché suo figlio, fino la sera precedente, lavorava all’Acna e non voleva comprometterlo.<br />Da quel giorno sarebbe stato libero perché suo figlio aveva cambiato lavoro e lui avrebbe finalmente potuto esprimersi, mettendo in pubblico le sue idee.<br />Quel momento intorno al falò continuò in un’unione di pane, di amicizia e di confidenze, proprio come pochi giorni prima quando, in quello stesso luogo, il nostro caro Don Pier Paolo spezzò il pane eucaristico per dividerlo con noi.<br />Era una domenica pomeriggio, un giorno memorabile. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Don Pier Paolo, incurante dei divieti dei suoi superiori, ebbe il coraggio di celebrare la Santa Messa proprio lì sul greto del fiume, sul tavolo da campeggio, davanti alla mia tenda a due passi da quel percolato velenoso.<br />Una folla numerosa si strinse silenziosa e raccolta intorno a quell’altare improvvisato e le parole del prete echeggiarono sulle nostre teste.<br />Ricordò a tutti noi che acqua e aria sono un dono di Dio e che se amiamo questi elementi amiamo noi stessi e il prossimo.<br />Mentre riflettevo su quelle parole mi guardavo intorno e incrociai con lo sguardo un gruppo di persone di Cengio presenti tra noi. Speravo tanto che quello fosse finalmente un momento di unione. </em></strong></div><div align="justify"><strong><em>Il “Don” continuò con le sue parole di amore e di rispetto per la vita e per il creato. Tutta la folla era attenta e silenziosa e per un momento quel posto mi parve meno grigio.<br />Voglio ricordare quella domenica così, dimenticando le provocazioni e i tafferugli che anche quel giorno ci furono con i Liguri, i quali ci affrontarono per la stretta strada che conduce alla statale mentre facevamo ritorno a casa.<br />Voglio ricordare quel momento di unione, quella folla stretta attorno al nostro Don Pier Paolo che celebrava proprio davanti alla mia tenda e, con una punta di orgoglio, ricordo anche Manuela (mia figlia) che, un po’ emozionata, serviva la S. Messa davanti alle telecamere e ad un cordone di carabinieri.<br />L’unione e l’amore per la nostra valle è stata la nostra carta vincente sempre, ma di quel periodo di presidio ci sono stati momenti davvero toccanti.<br />Ricordo con piacere il 25 aprile, festa della Liberazione: già dal mattino e per tutta la giornata, fu un susseguirsi di persone che scendevano giù al fiume, silenziose e composte, rendevano omaggio a quel luogo osservando e documentandosi, facevano ancora una visita allo scarico e poi ripartivano verso i loro rispettivi paesi.<br />Quel giorno Don Toso, parroco di Castino, con l’aiuto di una chitarra e di una fisarmonica, compose nuovi brani inneggianti la Resistenza e la Liberazione, ricordando così la festa del 25 aprile, ma soprattutto la nostra resistenza alla lotta contro l’Acna.<br />Anche quel giorno terminò in festa nella tenda comunitaria, con canti ed inni gloriosi.<br />Questi sono alcuni momenti, semplici ma molto intensi, che voglio ricordare di quei giorni.<br />L’odio e le provocazioni sono cose sterili, l’unione e l’amore invece sono quelli che ci danno la vita.</em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128587225544744542005-09-11T10:26:00.000+02:002005-11-18T15:02:34.556+01:00cap. 12 il presidio<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">IL PRESIDIO</span><br /><br />Una capatina al bar del Circolo, un caffè, due parole con gli amici, giusto il tempo di cogliere le ultime sull’Acna di Cengio e poi via a letto perché all’indomani la sveglia era programmata per suonare alle quattro.<br />Era diventata un’abitudine, quasi una tappa obbligata, quella di passare al bar del Circolo per avere le ultime, in un momento in cui le notizie si rincorrevano da Cassine a Saliceto. Così, nella serata di mercoledì 19 aprile del 1989, non rinunciai a quel momento di ritrovo e d'informazione. Quando entrai, nel locale regnava la tranquillità più assoluta, due tavolini occupati da una partita a carte, una signora che faceva il solitario e un po’ di gente che osservava il gioco pronta a ridire e commentare.<br />Il discorso Acna quella sera non era ancora stato imbastito: mi avvicinai allora a Don Emanuele, il nostro parroco, che gestiva il circolo e che era sempre con noi nelle varie iniziative.<br />Domandai a Lui se c'erano “nuove”, e lui mi confermò quello che in parte già sapevo: da qualche giorno ormai, ed in orari diversi, un gruppetto di quattro o cinque giovani si alternavano e si recavano allo scarico dell’Acna. Là, con bottiglie e contenitori, facevano dei prelievi per portarli ad analizzare.<br />In pratica facevano il lavoro che avrebbe dovuto fare l'USL che, nonostante i vari solleciti da parte della nostra associazione, non aveva mosso un dito.<br />L’ultimo prelievo “clandestino” era stato fatto il giorno prima, martedì 18, da quattro attivisti i quali, camminando sul letto del fiume per raggiungere lo scarico, avevano notato delle tracimazioni d’acqua rossa uscire dal terreno, in prossimità dell’Acna.<br />Lasciai il bar verso le 23, vincendo la tentazione di una partita a carte: il discorso Acna per quella serata sembrava concluso.<br />Il mattino seguente, alle 4:30, attraversando la piazza del paese, non riuscivo a capire il perché le stesse macchine della sera prima fossero ancora lì, parcheggiate dietro alla Chiesa, davanti al circolo.<br />Tentai alcune ipotesi e prese sempre più piede in me la convinzione che qualcosa di nuovo doveva essere successo in valle.<br />Una prima spiegazione l’ebbi alle 13, quando arrivarono i miei colleghi del secondo turno. Le notizie non erano ancora abbastanza chiare, ma di sicuro si sapeva che la notte precedente, nei pressi dello scarico Acna, c'era stata una fuoriuscita di liquido inquinante.<br />Qualcuno parlò di incidente, qualcun altro era preoccupato per i nostri amici che la sera precedente erano andati sul luogo dell’accaduto. Una cosa era certa: nei pressi dello scarico c’era bisogno di gente.<br />Non sentii più la stanchezza nè il sonno per la levataccia, ormai sentivo solamente il desiderio di essere lassù, in quel luogo tanto triste dove il nostro caro fiume s’intrappolava in quei veleni e veniva privato di ogni sua forma di vita.<br />Alle porte di Cengio, scendendo giù per la stradina che da Pian Rocchetta porta al fiume, mi sentii assalire da una strana sensazione, un miscuglio di paura e di tristezza. Oltrepassai i palazzi abbandonati di Brignoletta e mi trovai in fondo alla discesa, nei pressi del ponte sul fiume Bormida: ai bordi della strada erano parcheggiate alcune auto e un cartello di cartone improvvisato, con sopra disegnata una freccia, indicava il punto in cui scendere la scarpata per raggiungere il fiume.<br />Nel letto del fiume camminai ancora un centinaio di metri controcorrente, tra sassi, rovi e pozzanghere.<br />Ormai ero certo di non sbagliare perché a terra intravedevo orme fresche ed erbaccia calpestata, segno evidente di un sentiero appena tracciato, e sentivo sempre più chiaro il rumore di una pompa e il vociare di persone.<br />Ero arrivato sul luogo dell’incidente.<br />Risalii il pendio che separa il letto del fiume dal suo greto, in quel punto il Bormida distava dal muro di cinta dell’Acna una trentina di metri.<br />Al mio arrivo, sentii addosso gli occhi di un gruppo di persone, le quali mi accolsero con calore, come si accoglie un amico che non si vede da tempo….anche se con alcuni di loro avevo parlato la sera prima.<br />Renzo mi accompagnò per una decina di metri, verso una grande buca scavata da una macchina operatrice. Al fianco della buca una pompa scoppiettante e malferma stava risucchiando una sostanza liquida, spingendola dentro alle mura della fabbrica.<br />Lo spettacolo che avevo davanti era raccapricciante: quel liquido rosso e schiumoso a chiazze rossastre che si rigirava all’interno di quella buca, mosso dal risucchio della pompa, mi metteva i brividi nelle vene.<br />Sembrava di avere davanti agli occhi una scena di un film dell’orrore.<br />L’odore che si sprigionava nell’aria mi viene indefinibile, ricordo che fu necessario mettermi un fazzoletto piegato sotto il naso per resistere un paio di minuti, ma poi dovetti allontanarmi velocemente.<br />Quella pompa insicura e traballante continuava a succhiare dentro la pozzanghera, ma il livello del ripugnante liquido rimaneva sempre lo stesso.<br />Quel liquido lo chiamavano “percolato” ed era acqua che, attraversando il sottosuolo dello stabilimento, si impregnava delle sostanze tossiche dei milioni di tonnellate di rifiuti ivi sepolti e le trascinava verso il fiume.<br />Mi allontanai qualche decina di metri da quell’orribile luogo, giusto per poter respirare e parlare con gli amici presenti.<br />Ebbi così modo di conoscere come erano andate le cose la notte precedente: mi spiegarono che la sera prima una telefonata anonima, partita da un operaio dell’Acna, avvertiva che subito fuori dalla fabbrica, verso il fiume, era successo qualcosa di grave. Quella notizia in breve tempo si sparse tra gli attivisti dell’associazione “Rinascita” e subito un gruppetto di amici partì risalendo la valle.<br />Paese per paese il gruppo si rafforzò e con l’aggiunta dei miei compaesani, clienti del Circolo Acli, il gruppo raggiunse le venti persone.<br />Venti coraggiose persone, tra cui due sindaci, Barabino di Terzo e Toppia di Perletto, pronti a raggiungere lo scarico dell’Acna a quell’ora di notte, per controllare di persona quello che avevano saputo dalla telefonata anonima.<br />Prima di avventurarsi al buio e sguazzare nel fiume, tra rovi e sassi, il gruppo aveva pensato bene di telefonare ai carabinieri e all' USL di Carcare, per sollecitare un sopralluogo. Quando, dopo tante difficoltà, il gruppo arrivò sotto le mura di cinta dell’Acna, si trovarono davanti quel triste e degradante spettacolo.<br />Non oso pensare quello che provarono, già sono rimasto scioccato io che ho vissuto quella scena alla luce del sole, figurarsi quei poveretti che sono arrivati al buio in quel posto tetro e maledetto ove tutto odora di morte.<br />La loro speranza era che arrivassero presto i carabinieri a prendere atto di quello scempio. I carabinieri non tardarono, ma invece di documentare l’inquinamento in corso, ritirarono i documenti a tutti i presenti e si portarono con loro nove persone.<br />Così in nove passarono la notte in caserma, in attesa di essere interrogati e i rimanenti furono invitati a passare in portineria dell’Acna, a ritirare i documenti sequestrati.<br />Da quel momento, però, quell'orrenda pozzanghera non fu mai lasciata sola e ancora al mio arrivo, dopo ormai 17 ore di costante veglia, si convenne che di lì non si doveva andare via, affinché nessuno in nostra assenza potesse fare sparire le prove.<br />«Prima o poi qualcuno dovrà venire a vedere», andavamo dicendo tutti, così si decise di organizzarsi facendo a turni e restare in quel posto per controllare a vista l’Acna.<br />A me venne in mente la mia tenda da campeggio a quattro posti, non sarà stata una grande soluzione, ma era pur un riparo per la notte che si avvicinava.<br />Andai subito a casa, arraffai tutto l’occorrente e con l’aiuto di Don Emanuele e di un altro amico, tornai sul luogo dell’incidente.<br />Il sole, unica fonte di vita in quel luogo grigio e malsano, aveva da un pezzo oltrepassato la collina di Brignoletta, così dovetti finire il lavoro di montaggio della tenda con l’aiuto di torce elettriche.<br />Finalmente, verso le 21, la tenda era sistemata e brillava con i suoi colori, portando a tutti noi presenti un raggio di speranza e di allegria.<br />Mi fermai un attimo a contemplarla e rivissi con lei alcuni momenti passati assieme: «cara la mia tenda che mi hai ospitato con la mia famiglia nei momenti più belli, sulle rive del Mar Ligure, nelle pinete della Toscana, sulla fine sabbia dell’Adriatico, sulle spettacolari conche del Gargano. Tu hai ospitato i miei figli che avevano pochi mesi, li hai protetti dal caldo e dalla frescura, tu fai parte della mia famiglia e ora ti lascio un grave e importante compito, ti sacrificherai per una giusta causa. Stanotte darai ospitalità a quattro persone che veglieranno con te quel mostro che da oltre cento anni distrugge la nostra valle».<br />Lasciai così, con quei ricordi nel cuore, quel posto infame e i miei amici.<br />Il primo giorno di “presidio all’Acna“ stava terminando ma le brutte sorprese non erano finite: quando arrivai nei pressi della stradina di Pian Rocchetta sentii sull’asfalto un fruscio di passi veloci, poi d’un tratto il silenzio e di nuovo passi al galoppo.<br />Era buio, la poca luce che filtrava dal cielo si inceppava sulla chioma degli alberi emanando lunghe e paurose ombre.<br />Mi guardai intorno, una cinquantina di metri a monte tre persone correvano inseguendo qualcuno. Nello stesso istante rombò un motore al massimo dei giri e ci fu uno stridore di gomme sull’asfalto: una macchina partì sgommando verso la statale, mancando per un soffio quelle persone in corsa.<br />Rimasi un attimo titubante e mi incoraggiai quando vidi uscire dai cespugli la figura di persone amiche che poco prima erano con me al “presidio”.<br />Intanto, quelli che poco prima avevano rischiato di essere investiti, si unirono a noi e ci spiegarono l’accaduto. Buona parte delle macchine parcheggiate sul bordo della piccola strada avevano le gomme tagliate, alcune ancora gemevano emanando la poca aria ancora rimasta.<br />Erano le nostre macchine: le macchine dei “Piemontesi”, degli “ecologisti”, così ci chiamavano quelli che sostenevano a spada tratta l’Acna.<br />Era evidente che la nostra presenza in quel posto dava fastidio a qualcuno, in primo luogo alla fabbrica e a chi da essa si lasciava ricattare.<br /></em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128587340389092052005-09-10T10:27:00.000+02:002005-11-18T17:01:33.493+01:00cap. 13 qualche ora da protagonista<div align="justify"><strong><em><span style="font-size:180%;">QUALCHE ORA DA PROTAGONISTA</span><br /><br />25 Maggio 1989<br /><br />O mitica e crudele Torino, non sei più come ti immaginavo nella mia infanzia.<br />Le luci, le macchine, le scarpe di gomma, sono arrivate anche nei nostri paesi.<br />Non ti sei accontentata di portarmi via il mio amico Franco. Ti sei portata via le migliori braccia dei nostri paesi.<br />Ora siamo di nuovo qui da te per avere un po’ di giustizia.<br />Ormai non contavo più le volte che partii, in pullman o in macchina, per partecipare ad un Consiglio Regionale.<br />Ogni volta una delusione nuova per me e per i numerosi valligiani presenti, ma non potevamo fermarci proprio adesso.<br />L’ACNA era momentaneamente chiusa, mancava un mese alle elezioni Europee e noi sentivamo ancora il bruciore delle manganellate ricevute a Pian Rocchetta cinque giorni prima.<br />Il 25 maggio era un giovedì e alle 10 del mattino, assieme ad un centinaio di altre persone, ero seduto compostamente nella sala del Consiglio Regionale per assistere alla seduta del Consiglio.<br />Ci aspettavamo una presa di posizione forte contro l’ACNA e una giusta solidarietà per la carica della polizia ricevuta pochi giorni prima.<br />Dopo aver atteso pazientemente che venisse esaminato il nostro punto all’ordine del giorno finché, finalmente, il Presidente della giunta lesse il documento da votare. Incominciarono i vari interventi da parte dei Consiglieri.<br />Era successo il miracolo!…………uno dopo l’altro, nei loro interventi, sia pure con tonalità diverse, erano tutti solidali con noi.<br />Mi guardai intorno incredulo e lessi il mio stupore sul volto dei miei colleghi.<br />La sorpresa non era finita: prese la parola Tommaso Z., che era proprio sulla poltrona davanti a me, ci separava solo una bassa balaustra che divideva la platea del pubblico dai tavoli dei Consiglieri.<br />Tommaso si alzò in piedi, alzò il tono della sua voce, la sua lunga barba incolta mi impediva di vederne il viso, ma le sue orecchie diventarono rosse come il fuoco e le sue labbra sembravano sputare fuori dal corpo tutta la nostra rabbia.<br />Di tanto in tanto batteva anche i pugni sulla scrivania: «era proprio incazzato», pensò qualcuno volgarmente, «ùià in diàu per cavai», bisbigliò un altro in puro dialetto gorzegnese.<br />Riassumendo, il suo intervento suonava così: «E’ ora che questa gente abbia un po’ di giustizia dopo anni d'inquinamento. E’ ora che chi ha inquinato per tanti anni paghi i suoi sbagli……».<br />Parole sagge, pensai tra me, stupito come tutti non solo dalle parole, ma soprattutto dalla grinta con cui erano state pronunciate.<br />Anche Giustina che sedeva accanto a me mi toccò con un gomito e mi manifestò in silenzio il suo entusiasmo.<br />Ci fu un lungo intervallo, poi si passò alla votazione.<br />Votazione dall’esito scontato, pensammo, avendo appena sentito gli interventi, ma presto mi resi conto che le cose non andavano per il verso giusto: «Favorevole- contrario- favorevole - contrario……….».<br />Si andava avanti di pari passo, finche toccò a Tommaso Z. che si alzò in piedi ed espresse il suo voto «contrario».<br />A me caddero le braccia e a Giustina scappò un: «Tommaso cosa hai fatto?».<br />Lui si girò e le rispose con poche e chiare parole: «zitta te…..non capisci niente».<br />Non capiva Giustina, non capivo io, nessuno del pubblico in sala capiva come mai un politico diceva una cosa e faceva il contrario.<br />«A l’è propi na frasca» (un ramo che si muove a seconda di come tira il vento), mormorò qualcuno in dialetto.<br />La votazione terminò con 15 voti favorevoli e 15 voti contrari, 9 astenuti.<br />La gente della Valbormida che da nove ore aspettava pazientemente in silenzio, reagì con un coro di «buffoni…..buffoni» e il Presidente Rossa sospese il Consiglio.<br />Uno ad uno i consiglieri lasciarono l’aula ma noi decidemmo di non andarcene: «ci portino via di peso come hanno fatto sabato al presidio», commentammo.<br />Qualcuno di noi restò al suo posto, io, come una trentina di altri presenti, presi posto al tavolo dei consiglieri e feci il mio breve intervento seguito a turno da tanti altri. Passammo poi alla votazione, che ebbe esito positivo.<br />Intanto da ogni parte della sala spuntavano giornalisti con macchine fotografiche e cineprese. Ci sentivamo tutti importanti e al centro dell’attenzione, seduti su quelle poltrone, abbagliati dal flash e tra gli applausi del pubblico.<br />Quello strano gioco durò per ben tre ore, tre ore da protagonisti che ci fecero dimenticare per qualche minuto l’ultima umiliazione subita.<br />Ben presto però, passato l’entusiasmo del momento, ci rendemmo conto che quello non era posto per noi.<br />C’è chi il buffone lo fa per anni e anni, ma per noi tre ore erano già troppe.<br />Io (che come Giustina) non capivo niente, volevo tornare alla mia realtà, tra la mia gente con la quale basta guardarsi negli occhi per capirsi, senza bisogno di urlare al microfono e senza battere i pugni sulla scrivania.<br />Nella mia Valle dove un sorriso e una stretta di mano, hanno più valore di un verbale scritto e firmato.<br /></em></strong></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14108112.post-1128587667528312472005-09-09T10:29:00.000+02:002005-11-18T17:08:43.766+01:00visita all'ACNA<div align="justify"><span style="font-size:180%;"><strong><em>VENERDI' 19 SETTEMBRE 2003</em></strong></span></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"><a href="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/1600/IMG0013.jpg"><img style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="http://photos1.blogger.com/blogger/5879/1259/320/IMG0013.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"><strong><em>Oggi mi sono recato in visita all’ACNA di Cengio.<br />Vorrei spiegare, ma non ci riuscirò mai, la sensazione che ho provato varcando il cancello di quella fabbrica che per 58 anni mi ha fatto respirare la sua puzza e i suoi veleni. Quella fabbrica che ha fatto soffrire e piangere tante persone.<br />Ho lottato per oltre 50 anni, l'ho vegliata con tanti amici per trentun giorni e trentun notti, ma mai avevo varcato quel cancello.<br />Oggi con il pullman e il Comm. Leoni che faceva da guida, ci sono entrato.<br />La prima parte della fabbrica che si incontra è quella più antica, fatta di mattoni pieni, con archi ed ampie vetrate.<br />Sarebbe anche bella se non fosse in uno stato di abbandono da parecchi anni, tutti i vetri rotti alle finestre e dentro i capannoni montagne di terra inquinata.<br />Quella parte, ci ha spiegato il Commissario, è l’unica ad avere il suolo non inquinato: sono inquinate, però, le falde sottostanti.<br />Più avanti il pullman si è fermato davanti al reparto dove si riempiono enormi sacchi di terriccio. Quelli sarebbero i famosi fanghi dei “lagoons”, resi innocui dopo vari procedimenti.<br />Lì ci sono state spiegate molto dettagliatamente le fasi di lavorazione e ci è stato confermato che, ciò che resta dei “lagoons”, viene trasferito in Germania via treno, un treno alla settimana.<br />Il pullman è poi uscito fuori dalle mura di cinta, costeggiando il fiume, e lì abbiamo visto una prima collinetta per metà sgomberata.<br />Quelle che sono chiamate collinette sono in realtà rifiuti, scarti di varie lavorazione ammassati lì vicino al fiume nel corso dei cento anni di lavorazione.<br />Abbiamo proseguito verso lo scarico, la zona del “presidio” di protesta del 1989: lungo tutto il tratto abbiamo potuto notare un muro che loro chiamano “diaframma”, ovvero un barriera di contenimento che va in profondità e serve a contenere il percolato che può uscire dallo stabilimento affinché non entri nel fiume.<br />Vicino allo scarico, una ruspa stava scavando e caricava il materiale sopra un camion.<br />Quella era un’altra di quelle collinette di rifiuti, e non vi era niente che potesse assomigliare alla terra: sembrava piuttosto carbone macinato.<br />Nonostante i finestrini chiusi, ho risentito l’odore che sentivo lungo il Bormida negli anni ‘50, quando ero ragazzino.<br />Quelle colline di rifiuti sono portate all’interno, vicino ai “lagoons”, in quella zona in cui non è possibile disinquinare. Quelle scorie sono allargate e rullate, formando un enorme piazzale e a fine lavori, è prevista una copertura in cemento impermeabile.<br />Anche i “lagoons”, visti da vicino, sono di un orrore indescrivibile.<br />Siamo poi tornati verso la portineria passando vicino al basamento del famoso RE-SOL.<br />Per le strade che si svincolavano tra i vari reparti c’era un’autobotte che passava in continuazione, innaffiando per terra con lo scopo di non lasciar alzare la polvere con i suoi inquinanti.<br />Tralasciando i miei sentimenti personali, abbiamo potuto costatare che la bonifica è effettivamente cominciata. Certamente i tempi saranno lunghi, ma per la prima volta in questa storia si vede qualcosa di concreto.<br />Anche il Comm. Leoni è stato molto disponibile e chiaro, ci ha informati senza nascondere nulla sulla gravità del problema.<br />Un’altra notizia che abbiamo avuto dal Commissario è che attualmente lavorano alla bonifica 240 operai, in sostanza tanti quanti erano al momento della chiusura dell’ACNA.<br />Sono tornato a casa un pochino più ottimista, anche se l’ACNA l’ho trovata peggio di come me la immaginavo.<br />Peccato però che eravamo pochi a fare quella visita e l’unico amministratore era il sindaco di Saliceto.<br /><br />Mario Bertola</em></strong></div></div>valbormidavivahttp://www.blogger.com/profile/02972272074723678648noreply@blogger.com0