UNA SETTIMANA “CALDA”Sabato 23 Luglio 1988 “LA NUBE”
«Una ragnatela di nubi nerastre vagava in cielo, impigliata nel campanile del paese».
Sono parole scritte da BEPPE FENOGLIO, nel libro “Il partigiano Johnny”.
In una calda e arida estate, quando l’afa ti toglie il respiro e ti rovina il sonno, alzarsi al mattino con una nube sopra la testa può sembrare un miraggio.
E’ quanto è successo agli abitanti di Saliceto quel sabato mattina, 23 luglio, del 1988: chi si è affacciato alla finestra o è uscito di casa verso le 8,30 del mattino ha visto il paese avvolto in una nuvola biancastra. Peccato però che invece di una boccata di fresco ossigeno, quella nube portava con se anidride solforosa.
Molte persone uscendo da casa hanno cominciato a tossire e sentire sintomi di vomito con un groppo in gola che toglieva il respiro. All’ufficio comunale sono incominciate ad arrivare telefonate di abitanti spaventati, in cerca di spiegazioni. Ma la strana nube aveva colto di sorpresa tutti.
Solo all’ACNA sapevano di una fuga di anidride solforosa dal reparto dove si fabbricava l’Oleum (acido solforoso arricchito di anidride solforosa, che serve come materia prima per preparare il Betanaftolo, l’acido Gamma, l’acido Tobia ).
Ma all’interno della fabbrica, invece di avvisare la popolazione del pericolo che stava correndo, si cercò di capire cosa e come fosse successo quell’incidente, in modo da poter rimediare al danno senza che nessuno se ne accorgesse.
Era un periodo difficile per la fabbrica chimica: era di quei giorni, infatti, la notizia che il Ministro dell’ambiente Ruffolo voleva chiuderla per sei mesi, mancava solo la firma del Ministro della sanità.
Quella nube capitò proprio nel momento meno opportuno per l’ACNA e qualcuno arrivò anche a pensare che fossimo stati noi “ambientalisti piemontesi" a sabotare l’impianto.
A Saliceto l’allarme durò un paio di ore e la popolazione fu avvisata da un impiegato del comune che, passando con un pulmino fornito di megafoni, invitò la popolazione a restare chiusa in casa in attesa che la nube si estinguesse.
Nella bassa valle Bormida l’allarme arrivò verso le 11: a Cortemilia un centinaio di persone si riversò nella piazza del Municipio per saperne di più. Il sindaco Dessino si mise in contatto con la prefettura e la gente in piazza improvvisò un’assemblea.
Paura, rabbia e sete di notizie, che nessuno però sapeva dare.
Presto l’assemblea si trasformò in manifestazione. Arrivò ancora gente, anche dalla bassa valle, e alle ore 13 la statale 29 che porta ad Alba era bloccata. Infine verso le 15 si formò un corteo di macchine in direzione di Cengio.
Ad ogni paese il serpentone di macchine si allungava e arrivati a Saliceto si fermò nella piazza davanti al Comune.
Io che quel mattino mi ero alzato alle 4 e avevo fatto il primo turno, non ce la facevo più dal sonno ed ero l’unico a vedere ancora la nebbia sul paese……ma in realtà il cielo era tornato nitido e il sole bruciava sulle nostre teste.
Parcheggiate le macchine in piazza, ci raggruppammo sulla statale e iniziammo a camminare in direzione di Cengio. Camminammo così, senza una fissa meta e senza un programma. Tutti sapevamo che il mostro da abbattere era a Cengio, ma nessuno sapeva come, quando e in che modo.
Tutti dicevamo la nostra opinione ma nessuno dava ordini, così vagammo come un gregge senza pastore fino a ritrovarci sui binari della ferrovia, alla piccola stazione ferroviaria di Saliceto.
Con noi c’era anche un gruppo di Anarchici, che in quei giorni si trovava in campeggio nella nostra valle…...era visto da tutti noi con un po’ di diffidenza e, mentre loro si fumavano qualche spinello davanti agli occhi vigili dei carabinieri, noi seduti sui binari decidemmo le mosse da intraprendere per l’indomani.
Domenica 24 luglio 1988 “ 5.000 BIRO PER UNA FIRMA “
Volevamo andare a Cengio ma ci avevano avvertito: «si arriva fino alle porte di Cengio, non un metro più in là ».
E così è stato. Non abbiamo fatto alcuna resistenza.
All’indomani della nube tossica, partimmo da Cortemilia con non meno di 500 macchine e risalimmo la valle fino a Cengio.
A Pian Rocchetta, proprio sul confine tra Piemonte e Liguria, la statale era bloccata da un cordone di poliziotti.
Cominciò allora un lungo e difficile patteggiamento tra noi valligiani e le forze dell'ordine ma, visto che era impossibile varcare quel “confine“, ci accordammo di far entrare in Cengio una nostra delegazione formata dal Sen. Visca e da due sindaci: Topia di Perletto e Balza di Acqui Terme, i quali entrarono col preciso scopo di parlare con il consiglio di fabbrica.
Intanto, sul confine, la gente continuava ad arrivare e col passare delle ore cominciammo ad innervosirci.
Non mancavano però opinioni e proposte: «Ruffolo (Min. dell’ambiente) è pronto a chiudere l’ACNA per sei mesi, manca solo la firma del Min. DONAT - CATTIN» disse una voce al megafono, che continuò «perché non andiamo tutti assieme a portargli una biro, in modo che possa firmare il decreto?».
A quelle parole, sul piccolo palco improvvisato su di un furgoncino, incominciarono ad arrivare decine e decine di biro. E fu a quel punto che Renzo Fontana fece la sua proposta: «Oggi qui siamo in tanti, ma dobbiamo sensibilizzare di più gli abitanti del basso Piemonte, perché non andiamo adesso in corteo per le vie di Acqui?»
Come risposta ci fu un lungo e caloroso applauso, e nel giro di pochi minuti ci si avviò verso la bassa valle, in un lungo serpentone di auto, moto e furgoni.
La statale 339 diventò a senso unico, viaggiammo in doppia fila da Cengio a Bistagno, strombazzando e costringendo chi viaggiava in senso contrario a fermarsi.
Ci diedero una mano le gazzelle della polizia che sbucavano fuori da tutte le parti, a sirene spiegate.
C’erano gazzelle davanti e dietro al corteo, ad ogni incrocio.
Per una volta ci sentimmo i padroni di tutta la valle, ed io, sulla mia VISA rossa, ogni volta che intravedevo il Bormida o lo fiancheggiavo, mi sentivo orgoglioso….perché mi stavo battendo per lui, per la sua salvezza……
«Stai tranquillo» sussurravo a bassa voce, «non mollerò finché non vedrò le tue acque ridiventare chiare come non le ho mai viste e vedrò sul tuo fondo ogni razza di pesci. Ritornerò a giocare sulle tue sponde, anche se non più bambino. Mi fermerò a sentire la tua voce che non sarà più un lamento ma un allegro cantico».
I due amici che erano in macchina con me mi guardavano stupiti di quel discorso, ma era evidente che la pensavano esattamente come me.
Quando ci fermammo con le auto presso la stazione ferroviaria di Acqui demmo inizio ad un lungo corteo a piedi per le vie principali della cittadina. Al nostro passaggio la popolazione usciva sul balconi e dai bar, a sentire le nostre invocazioni: «una biro per il ministro Donat - Cattin………una biro affinché il ministro possa firmare il decreto che prevede la chiusura dell’ACNA per sei mesi…..».
Quelle erano, in linea di massima, le parole che urlavamo per le vie di Acqui, ma non tutti conoscevano il nostro problema. Qualcuno si stupiva di quel corteo, altri ci criticavano, ma da tutte le parti piovevano biro.
C’erano biro a sufficienza per firmare tutti i decreti accantonati a Roma e anche per scrivere i cento e più anni di ingiustizie subiti dalle nostre valle.
Il corteo finì in Piazza della Bollente, dove presero la parola, tra gli altri, il sindaco di Perletto e il sindaco di Acqui Terme.
Lunedì 25 luglio 1988 “Alba, consegna delle biro “
Alba, bella e ricca cittadina ai piedi delle Langhe, è un po’ la nostra capitale. Lì ci riversiamo per i nostri acquisti, per vendere i prodotti della campagna, per lo svago e sopratutto per il lavoro. Sono tanti infatti i “Langhet” (così sono chiamati i nostri valligiani) che lavorano ad Alba.
Essendo grande e ricca, Alba è anche potente sul piano politico e il ministro Donat -Cattin aveva un suo ufficio in viale Vico.
Dopo aver raccolto migliaia di biro la sera prima ad Acqui partimmo quel lunedì, in prima serata, formando un corteo di macchine con destinazione Alba: lì avremmo consegnato al sig. Ministro l’originale regalo.
Non era nel nostro stile fare quell’importante consegna in punta di piedi, così ripetemmo l’esperienza del giorno precedente.
Non eravamo in tanti, ma a sufficienza per farci notare e sentire.
Ci addentrammo a piedi per Via Maestra, Piazza del Duomo e tutte le vie principali del paese. Ad Alba, quasi tutti conoscevano il nostro problema e ci sentimmo in mezzo a tanti amici.
Tanti si aggiunsero a noi, cosicché il corteo divenne sempre più consistente e anche qui, da ogni parte, si aggiunsero biro alla nostra raccolta.
Quando arrivammo dietro al Duomo, in Piazza Mons. Grassi, un gruppetto di persone si presentò in modo composto e educato alla porta di Mons. Nicolini.
Il Vescovo li ricevette gentilmente e si dimostrò molto ben documentato sulla situazione della nostra valle e sulle conseguenze dell’ACNA.
Era uscito da pochi giorni, infatti, un documento comune firmato da un gruppo di parroci e tre vescovi, a conclusione di una riflessione sul problema.
Il Vescovo ci illustrò il suo punto di vista sul contenuto del documento ed ebbe parole di comprensione e conforto per noi.
Mentre parlava tirò fuori dal taschino una penna luccicante colore oro, che andò ad arricchire la nostra collezione.
Dal corteo si alzò un caloroso “Grazie!“ per il Monsignore, dopodichè virammo in direzione di Piazza Savona, per raggiungere l’ufficio del Ministro della sanità.
Oramai si era fatto tardi e non volevamo passare come dei disturbatori della quiete pubblica.
Le circa 5000 biro furono deposte in tre scatoloni di cartone e tre bambini, accompagnati dalle forze dell’ordine, portarono il singolare dono al primo piano del condominio e le depositarono sull’uscio chiuso dell’ufficio del Ministro.
Nella mia immaginazione ho rivisto quel Ministro, austero, prepotente, autoritario e maleducato che avevo conosciuto a Bossolasco davanti alla sede della comunità montana, e già me lo immaginavo, alla vista di quelle scatole, ordinarne lo sgombero con lo stesso tono prepotente che aveva avuto con noi a Maggio.
Terminò così quella terza giornata consecutiva di protesta, ma purtroppo non vi era ancora tempo per riposare.
Ci salutammo tutti, fissando l’appuntamento per l’indomani a Cortemilia alle 20.30 nei locali della sagra.
Lasciammo la cittadina di Alba tutti consapevoli che nessuna di quelle biro sarebbe stata usata per firmare il decreto della chiusura dell’ACNA, ma eravamo ugualmente contenti perché avevamo scritto un’altra pagina di storia. In quei tre giorni di proteste avevamo fatto conoscere il nostro problema a gente nuova, ad Acqui e ad Alba, e ora potevamo contare su qualche amico in più.
Martedì 26 Luglio 1988 “ MUSICA, ATTESA E RABBIA “
L’appuntamento era per le 20,30 a Cortemilia, nel cortile dell’ex convento Francescano. Avevamo deciso di passare una serata diversa, in allegria, con musica e canti e per noi si sarebbe esibito “Tito Schipa junior.“
Dopo tre giorni di manifestazioni da un angolo all’altro della nostra valle, sembrava una buona idea trovarsi tutti assieme in un clima di festa. La gente era quella dei giorni precedenti, volti ormai noti, altri appena visti, persone di ogni età e di ogni livello sociale. Canti, balli, allegria, tutti si sforzavamo di essere spensierati, godendo assieme alla musica quel po’ di fresco che la serata offriva. Le note amplificate del pianoforte si diffondevano per buona parte del paese, così, anche chi si trovava a passeggiare lungo il viale alberato di centenari tigli, poteva essere partecipe di quell’atmosfera di festa.
Erano quasi le 22 e la gente continuava ad entrare in quel cortile, a piccoli gruppi, e prima di occupare i posti a sedere, cercava notizie. Era diventata una parola d’ordine ed era sulla bocca di tutti: «a Roma, cosa hanno deciso?».
A Roma, infatti, era in corso una riunione interministeriale tra il ministro Ruffolo, Donat - Cattin, Battaglia (industria) e il presidente del consiglio on. De Mita.
L’incontro era in corso già dal pomeriggio e da esso sarebbe dovuto scaturire un accordo per la chiusura provvisoria di sei mesi dell’ACNA, periodo in cui, secondo Ruffolo, si sarebbe provveduto alla messa in sicurezza della fabbrica chimica.
Ma da Roma ancora nessuna decisione, la riunione era ancora in corso e l’intesa sembrava lontana.
Non bastavano le note di Tito-Schipa junior per farci dimenticare il problema.
Più passava il tempo e più la domanda si faceva insistente: «a Roma cosa stanno facendo?».
Per me la festa era finita, stava infatti per scadere il tempo che mi ero concesso e alle ore 22 dovevo proprio andare a lavorare.
Purtroppo, però, la festa finì presto per tutti: da Roma arrivò la notizia che la riunione interministeriale era stata rinviata senza arrivare a nessun accordo.
L’annuncio fece subito il giro del locale e tutti cominciarono a bisbigliare tra loro formando campanelli di gente. In ogni volto si leggeva lo sconforto, la sfiducia nelle istituzioni, la rabbia per tanta fatica e tempo sprecato in quei caldi giorni d’estate. Dopo quella notizia, le note dal palco stentavano ad arrivare alle orecchie della gente, girovagavando a vuoto come farfalle impazzite intorno ad un lampione acceso.
La notizia del rinvio, invece, si espanse per tutta la valle: da Cortemilia a Saliceto, da Saliceto a Bistagno.
La festa comunque continuò e il cortile del convento finì per riempirsi e continuarono ad arrivare persone.
Quando Tito-Schipa salutò il pubblico con il suo ultimo brano, il campanile della vicina chiesa di S. Pantaleo batté un unico tocco, era l’una dopo la mezzanotte, la festa era terminata e tutti si riversarono in strada dove si era già formato un piccolo corteo di macchine. Il corteo in poco tempo si allungò, facendosi rumoroso: incominciarono i soliti slogan mentre i megafoni informavano la popolazione.
La Cortemilia che già dormiva si svegliò, la gente prese a scendere in strada ammassandosi in Piazza Savona. E’ lì che nacque l’idea di andare ad Alessandria, subito, in prima notte.
La proposta venne approvata con un applauso: cominciò così il quarto giorno di protesta.
La strada per Alessandria è lunga e il serpentone di macchine in ogni paese faceva il giro per le vie del centro, informando e svegliando i suoi abitanti.
Alle 4 del mattino il corteo arrivò ad Alessandria, in Piazza Della Libertà, proprio davanti alla sede della Prefettura e della Provincia. Lì, ad attenderlo, vi era già un consistente schieramento di forze dell’ordine e, nonostante l’ora “strana”, una nostra delegazione venne ricevuta dal vice prefetto, dal vice sindaco e dall’assessore all’ambiente di quella città.
In quell’incontro venne ribadita la richiesta di chiusura dell’ACNA, sottolineando la delusione per la mancata decisione dei ministri riuniti a Roma la sera prima.
Mercoledì 27 luglio. MANIFESTAZIONE AD OLTRANZA
Dopo l’incontro con il vice prefetto Piazza della Libertà è rimasta occupata, nessuno ha trovato un motivo abbastanza valido per abbandonare la manifestazione, almeno fino a quando non fossero arrivati i rinforzi dall’alta valle.
A Cortemilia intanto, mentre stava per incominciare una nuova giornata lavorativa, una macchina del comune girava con i megafoni per le vie del paese informando la popolazione della situazione creatasi nella notte ad Alessandria ed invitava a portare solidarietà e rinforzi ai compagni che erano laggiù dalla notte. Alcuni negozi, appena aperti, riabbassarono le serrande, officine e laboratori rimasero semideserti.
Ad Alessandria, i primi manifestanti che avevano girovagato tutta la notte poterono fare ritorno a casa perché sostituiti dai compagni.
Nella sede della Provincia, per tutta la giornata si svolsero incontri con amministratori comunali, provinciali e regionali, sempre in contatto con Roma, dove era ripresa la trattativa.
Quel mercoledì 27 fu un giorno difficile per tutti.
Non mancarono alcuni blocchi ferroviari e disagi per la circolazione. Purtroppo, anche in quel caso, ne ebbero disagio delle persone che non avevano colpa alcuna, ne eravamo tutti consapevoli, ma del resto cento anni di repressione, di inquinamento e di menzogne erano veramente troppi.
Non avevamo nessun’altra arma per farci sentire, così cercammo di spiegare le nostre ragioni alla popolazione disagiata, la quale capì e ci dimostrò solidarietà.
Dopo una giornata di manifestazione nella piazza centrale di Alessandria e dopo quindici ore di mediazioni, incontri, consultazioni nel palazzo della prefettura e della provincia, si decise di fare ritorno nei nostri paesi. Il sindaco si era detto disposto a dimettersi assieme ai suoi colleghi pur di ottenere la chiusura dell’ACNA e la Regione si era offerta di mettere a disposizione vari pullman e vagoni ferroviari, per andare a Roma a manifestare davanti al parlamento.
Giovedì 28 luglio LA CHIUSURA BEFFA.
Non erano ancora suonate le 9 di mattina che già uscivo dalla farmacia di Cortemilia, la mia Visa rossa parcheggiata dall’altra parte della via, sotto i grandi alberi di tiglio che ancora profumavano con i loro ultimi fiori appassiti, confondendo il proprio odore con la puzza acre del Bormida che lì scorreva, viscido e silenzioso.
Percorsi a piedi un tratto del viale per infilarmi nella “puntina” di ferro che attraversa il fiume. Camminai fissando lo sguardo dritto davanti a me, senza abbassare la testa. Non volevo incrociare con gli occhi quel fiume per cui tanto avevo lottato inutilmente. Sentivo ancora sulle spalle il peso delle ultime proteste, le ore di sonno perse. Avevo ancora nelle orecchie gli slogan e le urla contro quella fabbrica che avvelenava la nostra bella valle.
Affacciatomi sulla Piazza Oscar Molinari, vidi camminare verso di me un uomo col passo stanco e con la barba di tre giorni. Era un amico, non conoscevo il suo nome, non sapevo da che paese venisse, ma era un amico. Non sapevo nulla di lui, quale lavoro, quale idea politica, però era un amico.
L’avevo visto sui binari della ferrovia di Saliceto quel sabato della nube, l’ ho rivisto a Pian Rocchetta alla domenica, poi in corteo per le vie di Acqui Terme, l’ ho visto ancora lunedì sera davanti all’ufficio del ministro Donat - Cattin, c’era anche lui martedì sera al concerto, e per ultimo ha lasciato Piazza della Libertà ad Alessandria. Incrociandoci, ci salutammo con un cenno del capo, poi lui tornò sui suoi passi e mi parlò per primo. A pochi passi da noi, nel pianterreno del vecchio tribunale, c'era una vecchia porta con un foglio di carta appeso e una matita che penzolava legata con uno spago. Era la sede della nostra associazione: “Rinascita Per La Valle Bormida “.
Su quel foglio vi era un parziale elenco di nomi e, mentre l’amico sconosciuto mi dava le ultime notizie arrivate nella notte dalla capitale, parecchie persone si avvicinavano alla vecchia porta e scrivevano il proprio nome, allungando sempre più quella lista. Era la prenotazione per un posto sul pullman per Roma, la partenza era fissata per quella sera stessa.
Nell’incontro terminato la sera precedente fra i tre Ministri e il Presidente del consiglio, erano arrivati all’accordo di chiudere l’ACNA per quarantacinque giorni. Quella notizia era sulla bocca di tutti e da tutti era vista come l’ennesima beffa.
Quarantacinque giorni di chiusura per risanare una fabbrica che inquina da oltre un secolo……non bastava essere ingenui per crederci…..
«Una chiusura di pochi giorni ad Agosto è semplicemente una chiusura per ferie», era la frase più diffusa sulla bocca di tutti.
A Gorzegno, nel mio paese, le persone che volevano scendere a Roma si facevano segnare in comune. A mezzogiorno quell’elenco era veramente breve, erano pochi ad essere prenotati, ma alla sera sul piazzale della chiesa, sembrava una festa. Erano veramente in tanti: Valerio, Emma, Piero, Giovanni, Renzo…tutti amici.
Questi erano amici di cui sapevo proprio tutto, conoscevo i loro nomi, le loro famiglie e il loro lavoro, sapevo il sacrificio che stavano per compiere. Erano pronti a passare la notte insonne e una dura giornata nella torrida Roma, davanti al parlamento, in piedi e controllati a vista da poliziotti, bloccati da transenne in ferro.
Sarei voluto tanto salire anch’io su quel pullman pieno di gente allegra con l’aria spensierata e la rabbia nel cuore.
Essere rimasto a terra mi fece sentire un traditore, seguii con lo sguardo quel pullman arrampicarsi su per la salita per raggiungere la statale, e poi lo vidi sparire sotto la galleria lasciandosi dietro il suono della sua tromba.
Venerdì 29 luglio
Chi è rimasto in valle Bormida ha trovato una valle più desolata e monotona del solito: a Cortemilia il mercato era stato cancellato, buona parte dei negozi era chiusa, molte delle piccole aziende non avevano aperto le serrande.
Per chi era rimasto in valle, gli occhi erano puntati su Roma.
I quotidiani e i telegiornali parlavano di ventidue pullman e tre vagoni straordinari scesi a Roma per dire “NO“ all’ACNA, accompagnati da trentaquattro sindaci e alcuni assessori provinciali e regionali. Per i nostri amici è stata una giornataccia quella trascorsa davanti a Montecitorio, ad urlare la propria rabbia, con davanti ancora le lunghe ore di viaggio per il ritorno.
Per alcuni di loro era il settimo giorno consecutivo di protesta.
Stanchi e delusi, con poche speranze nel cuore, arrivarono in Piazza Savona nella Cortemilia deserta.
Ad attenderli, uno striscione lungo tre terrazzi con su scritto a grandi lettere: «LA VALLE BORMIDA VI RINGRAZIA».
Parole semplici ma significative, che bastarono ad alleviare un po’ la stanchezza e lo spirito dei nostri amici.