mario bertola: diario e memorie

le memorie di mario e della sua lotta contro l' acna e per una valle bormida viva

sabato, settembre 17, 2005

cap. 6 la sala del centro

LA SALA DEL CENTRO
....dalla umile valle ai lussuosi saloni del palazzo regio....

Quando ero ragazzino il mio mondo finiva là: dove il cielo toccava la collina di Mombarcaro già sentivo parlare di Torino. Me ne parlavano i miei fratelli, i miei compagni più alti e me la descrivevano nei modi più svariati: Torino ricca di luci, palazzi, tram e persino automobili!
A Torino, mi dicevano, c’è lavoro, ci sono scuole e i bambini portano le scarpe di gomma. Io ero incuriosito e facevo i miei ragionamenti…………vada per le scarpe di gomma, che senz’altro sono più comode dei miei zoccoli di legno, ma le scuole…….; io facevo prima elementare e accanto al mio salone (che era poi solo una cameretta), c’erano altri quattro locali con sulla porta una targhetta di carta con su scritto CL2°- CL3°- CL4°- CL5°.
Erano troppi per me e il solo pensiero di dover oltrepassare tutte quelle porte, mi sconvolgeva non poco.
Il lavoro poi…..proprio non capivo: già i miei fratelli, ma soprattutto mio padre e mio nonno, arrivavano a casa la sera stanchi dalla fatica.
Io stesso, nelle ore libere dopo la scuola, dovevo andare al pascolo. Così ragionando cominciai ad immaginarmi una Torino a modo mio e man mano che passavano i giorni la modificavo e la ingrandivo, le aggiungevo qualche luce. Me l’ero creata come si crea un castello…..e come tale mi crollò sui piedi prima ancora che varcassi la porta con la scritta CL2°.
Quella mitica Torino che ancora non avevo conosciuto già la odiavo, la disprezzavo come un nemico, come un traditore. Mi aveva portato via “FRANCO”, il mio più caro amico e compagno di gioco. Me lo aveva rubato con la sua famiglia per colpa di quel lavoro che io non capivo.
Passarono gli anni e ho avuto modo di recarmi a Torino per i più svariati motivi.
Non sto a raccontare le emozioni e le sorprese del mio primo incontro con quella città, ma faccio un salto nel tempo e vado direttamente al 1988, precisamente al 12 Maggio.
Partii da Gorzegno con un pullman carico di altri 50 compaesani. Quando fummo in frazione Campetto altri pullman già erano davanti a noi e si stavano arrampicando su per la salita di Borgomale e altri ancora stavano scendendo la tortuosa statale che viene giù da Castino.
Formammo così una colonna di sei pullman, e su ognuno un vistoso cartello portava il nome di un paese: Camerana, Bistagno, Monastero, Levice, Vesime, Sessole. Erano paesi della “Valle Bormida” e la meta era TORINO.
Scendemmo in Piazza Castello, nel cuore della vecchia Torino.
Bellissima piazza con ricchi monumenti, lussuosi negozi.
Ma il nostro non era un viaggio di piacere e neanche un viaggio d'affari. Era piuttosto una missione: dovevamo semplicemente spiegare ai nostri Consiglieri regionali che in Piemonte c’è una valle in cui il fiume che vi scorre è nero e puzzolente e i suoi abitanti muoiono di cancro. La causa di quel disastro è una fabbrica chimica chiamata ACNA ed è situata a pochi metri dal confine tra Piemonte e Liguria.
La pioggia scendeva fitta quel giorno e noi da Piazza Castello ci avviammo a piedi verso Via Alfieri. Al nostro passaggio le vetrine dei negozi abbassavano le serrande.…….non penso lo facessero per rispetto verso di noi ma molto probabilmente avevano paura.
Quando arrivammo in Via Alfieri, davanti al palazzo della Regione, anche il massiccio portone di entrata si chiuse davanti a noi. Restammo fuori sotto la pioggia per ore, mentre dentro Renzo Fontana, Bruno Bruna e altri nostri rappresentanti dell’Associazione Valle Bormida Pulita, stavano trattando con l’assessore all’ecologia: Elettra Cernetti.
Per noi non c’era posto, non erano preparati a riceverci e la sala del consiglio non era sufficiente ad ospitare 300 persone. «Nessun problema!», replicò Renzo Fontana, «se la gente che è fuori non può entrare, avete solo da uscire voi…».
Finalmente il grande portone si aprì e uno alla volta, dopo aver lasciato un documento in portineria, ci fecero accomodare nella Sala Del Centro. Ampie scale di marmo luccicante, enormi lampadari con infinite lacrime di cristallo, sculture in marmo rappresentanti personaggi storici.
Ci accomodammo in lussuose poltrone di velluto. Le poltrone erano morbide e comode, l’aria era tiepida, fuori dalle enormi finestre si vedeva la pioggia battente e le gocce che bagnavano i vetri, colorate dal riflesso dei lampadari, sembravano tante perle.
La povera Cernetti cominciò a parlare e parlare, a tratti sembrava volersi scusare con noi, poi incominciava ad esaltare il suo operato e i tanti sacrifici fatti per noi. La sua voce era tutto un piagnucolio ma il nostro problema era sempre raggirato e si capì ben presto che di ACNA e di Bormida inquinato ne sapeva ben poco, sia lei che gli altri Consiglieri regionali.
Seduto in quella comoda poltrona, inebriato da tante parole e con gli occhi puntati verso un grande lampadario con innumerevoli cristalli luccicanti, volai con il pensiero alla mia Valle e capii quanto fosse lontana.
A renderla lontana non erano solo quel centinaio di chilometri che dividevano la Sala Del Centro dal mio paese, ma era quell’ambiente surreale.
Da quella poltrona in quella lussuosa sala non si poteva sentire la puzza del Bormida, non si sarebbe sentita neanche se il fiume fosse passato sotto quelle finestre.
Fare entrare il nostro problema nella testa di quelle persone era come far entrare quell’enorme lampadario……su cui avevo gli occhi puntati……..nella saletta della mia classe di prima elementare.
Palazzo Lascari divenne frequentemente la nostra meta, vi ritornammo in diverse occasioni. Ricordo il 14 giugno 1988, quella volta c’era niente meno che il Ministro dell’ambiente, Giorgio Ruffolo.
Dopo neanche un mese, il 7 luglio 1988, tornammo....e davvero in tanti!
Quel giorno Via Alfieri era divisa a metà: da una parte noi piemontesi inquinati, a imprecare contro l’ACNA; dall’altra gli operai che difendevano con le unghie quel lavoro, gente dei nostri stessi paesi.
Tutti avevamo diritto di protestare, tutti avevamo la nostra ragione. Dalle 8 del mattino, sotto un sole cocente e un’aria afosa, in piedi sull’asfalto bollente, urlammo la nostra rabbia fino alle 17,30 del pomeriggio.
Preso dal caldo e dalla stanchezza mi accovacciai sul marciapiede e sognai ad occhi aperti quelle comode poltrone di velluto, in quei lussuosi saloni rinfrescati dall’aria condizionata. Sognai quegli enormi lampadari di cristallo e mi resi conto di quanto lontano fossero i nostri politici.