mario bertola: diario e memorie

le memorie di mario e della sua lotta contro l' acna e per una valle bormida viva

mercoledì, settembre 21, 2005

cap. 2 la rinascita

LA RINASCITA

La piccola utilitaria, stracolma di bagagli e con la famiglia al completo, percorreva gli ultimi metri sulla vetta della collina, prima di addentrarsi giù dalla discesa che da Cravanzana porta a valle.
Sentii nei miei polmoni un’aria dolce, rilassante: un’aria di casa mia.
La strada si faceva stretta, tutt’intorno una ricca vegetazione formata da alberi e rovi. Di tanto in tanto, qualche povera casa di contadini.
Dentro di me scoppiavo di orgoglio e di gioia: non era certo merito del paesaggio che, anzi, era abbastanza desolante, triste.
Era povera quella valle in cui ero appena entrato….però era la mia valle, la valle Bormida.
Ci tornavo sovente, mi sono chiesto tante volte il perché, ma mi sentivo legato a quella terra e non potevo scrollarmela di dosso.
Quella sera era diverso, ci sarei rimasto, mi sarei sistemato con la mia famiglia nel piccolo paese che mi aveva visto nascere, tra la mia gente, e il mio cuore cantava di gioia.
Certo non era più la valle di una volta: quella macchia selvaggia di verde, che copriva le cime delle nostre colline, era discesa sempre più in basso, inghiottendo quei bei muri in pietra e quei filari lavorati come enormi giardini.
Molte case, in campagna, ma anche in paese, avevano la luce spenta.
La gente se n’era andata, alcuni in cerca di fortuna, la maggior parte semplicemente per guadagnarsi da vivere.
La terra non rendeva più, quello era un problema generale, ma nella nostra valle la situazione era peggiore: i nostri prodotti sapevano di acido fenico e altro lavoro non ce n’era.
I miei figli, come me, fecero i loro primi passi e le loro prime esperienze su quella terra.
Nel tempo libero mi dedicavo a loro e il nostro passatempo preferito erano le lunghe passeggiate per la campagna.
Quando il tempo a disposizione era sufficiente, si arrampicavamo fin su dai nonni, e lì i ricordi e le cose da raccontare erano veramente tante.
Un’altra meta ricorrente era la “pianca” (passerella) sul Bormida, che dal vecchio mulino portava alla frazione dei sergenti.
Quella passerella era fatta di tronchi e assi di legno, legati assieme con chiodi e fili di ferro.
Era una lotta continua che l’uomo faceva con il fiume.
Ogni temporale violento o autunno piovoso, il fiume si ingrossava e se lo portava via.
Attraversavamo quel rudimentale e traballante ponticello in fila indiana, tenendoci per mano e cercando di evitare movimenti bruschi.
Dall’altra parte, un piccolo muretto in pietra ombreggiato da un alto salice, ci offriva un posto ideale per riposarci guardandoci attorno.
Era quello il momento della riflessione e delle domande.
Sebbene semplici e ingenue, non sempre mi era facile rispondere.
Così un giorno ho dovuto spiegare loro perché l’acqua che scorreva sotto quel ponte era così nera e schifosa da fare ribrezzo solo a vederla, e il suo odore così acre che ti entrava nel naso e attaccava la gola, attraversando tutto il corpo lasciandoti il gelo dentro.
Dovetti confessare ai miei figli, con tanta vergogna in cuore, che quell’acqua era già così nera e puzzolente quando ero bambino io e ancora prima quando mio padre, ragazzino, l’attraversava ogni sera per andare a lezione di musica.
Raccontare quelle cose ai miei bambini non mi esaltava per niente, al contrario mi sentivo imbarazzato, quasi che la colpa di tutto quel disastro fosse mia.
«Ebbene sì, la colpa di tutto quello scempio è anche in parte mia, del mio silenzio, della mia rassegnazione», mi ripetevo ogni volta che mi fermavo a riflettere fissando con lo sguardo il Bormida.
Sentivo dentro di me il bisogno di fare qualcosa ma ero impotente, guardavo negli occhi i miei figli e capivo che almeno dovevo provarci, come ci provò mio padre e come ci provò mio nonno.




Estate 1987

Giornali e televisioni davano sempre più spazio ai problema dell’ambiente.
Si parlava spesso del “buco dell’0zono” e dell'inquinamento della terra e dell’atmosfera.

Nell’estate del 1987, la RAI, in un programma dedicato all’ambiente, invitò i telespettatori a segnalare casi di degrado ambientale, in modo da poter realizzare e trasmettere un servizio.
Alcuni giovani di Vesime raccolsero al volo quell’invito e segnalarono il caso del Bormida, e l’inquinamento dell’intera valle.
La RAI venne in valle a girare un servizio che in seguito mandò in onda.
Questo bastò a riaccendere quella fiamma, mai del tutto sopita, che era dentro a tanti di noi.
Io fui avvertito dall’allora sindaco di Gorzegno, Alessandro Gallesio, che a Cortemilia si sarebbe ritrovato un gruppo di persone per parlare del problema della valle, e mi invitò a partecipare anche a nome suo.
Non mi feci ripetere un’altra volta l’invito, e subito mi attivai per liberarmi dagli impegni lavorativi.
Mi presentai all’appuntamento con mille incognite nella mia testa: non avevo idea di chi avrei trovato, non sapevo neanche il luogo esatto dove si teneva l’incontro.
Conoscendo molto bene Cortemilia, andai per intuito: non trovando nessuno nel Comune e neanche nell’oratorio, andai direttamente verso la salita dell’ex convento francescano.
Camminavo pensando a quei comizi degli anni addietro, quando l’oratore batteva i pugni sul tavolo e si faceva ingrossare l’arteria del collo.
Entrai nel salone, titubante, quasi in punta di piedi e rimasi sorpreso nel trovare solo poche persone, sedute a cerchio, senza nessuno in centro a fare da oratore.
Tutti potevano parlare, come si parla in un bar quando l’argomento si fa interessante. Alcune di quelle persone le conoscevo già, almeno di vista, altre non sapevo chi fossero.
C’erano i due giovani di Vesime che avevano fatto venire la RAI, qualcuno di Bubbio e di altri paesi verso Acqui Terme.
Alcuni, come me, stavano solo a sentire attentamente in silenzio, altri erano molto ben documentati con fogli e articoli di giornale alla mano, e tiravano fuori dati e notizie per me nuove, nonostante credessi di essere aggiornato sull’argomento.
La discussione andò avanti per tutta la serata e ne uscì un punto fermo e chiaro per tutti: bisognava essere uniti, unire le proprie forze, le proprie idee, le proprie esperienze. Bisognava portare altri amici, parlare con la gente, ma sopratutto sentire la gente.
Lo scopo era di combattere l’inquinamento e il degrado della valle Bormida e, di conseguenza, combattere la fonte di tutto quello, che era solo e da sempre l’ACNA di Cengio.
Combattere l’inquinamento e recuperare il nostro fiume, per avviare la rinascita della nostra valle.
Così quella sera d’agosto, nel vecchio convento Francescano di Cortemilia, con una semplice chiacchierata tra amici, nacque una nuova associazione che prese il nome proprio da quell’impegno.
Nacque l’Associazione Rinascita Valle Bormida.