mario bertola: diario e memorie

le memorie di mario e della sua lotta contro l' acna e per una valle bormida viva

sabato, settembre 10, 2005

cap. 13 qualche ora da protagonista

QUALCHE ORA DA PROTAGONISTA

25 Maggio 1989

O mitica e crudele Torino, non sei più come ti immaginavo nella mia infanzia.
Le luci, le macchine, le scarpe di gomma, sono arrivate anche nei nostri paesi.
Non ti sei accontentata di portarmi via il mio amico Franco. Ti sei portata via le migliori braccia dei nostri paesi.
Ora siamo di nuovo qui da te per avere un po’ di giustizia.
Ormai non contavo più le volte che partii, in pullman o in macchina, per partecipare ad un Consiglio Regionale.
Ogni volta una delusione nuova per me e per i numerosi valligiani presenti, ma non potevamo fermarci proprio adesso.
L’ACNA era momentaneamente chiusa, mancava un mese alle elezioni Europee e noi sentivamo ancora il bruciore delle manganellate ricevute a Pian Rocchetta cinque giorni prima.
Il 25 maggio era un giovedì e alle 10 del mattino, assieme ad un centinaio di altre persone, ero seduto compostamente nella sala del Consiglio Regionale per assistere alla seduta del Consiglio.
Ci aspettavamo una presa di posizione forte contro l’ACNA e una giusta solidarietà per la carica della polizia ricevuta pochi giorni prima.
Dopo aver atteso pazientemente che venisse esaminato il nostro punto all’ordine del giorno finché, finalmente, il Presidente della giunta lesse il documento da votare. Incominciarono i vari interventi da parte dei Consiglieri.
Era successo il miracolo!…………uno dopo l’altro, nei loro interventi, sia pure con tonalità diverse, erano tutti solidali con noi.
Mi guardai intorno incredulo e lessi il mio stupore sul volto dei miei colleghi.
La sorpresa non era finita: prese la parola Tommaso Z., che era proprio sulla poltrona davanti a me, ci separava solo una bassa balaustra che divideva la platea del pubblico dai tavoli dei Consiglieri.
Tommaso si alzò in piedi, alzò il tono della sua voce, la sua lunga barba incolta mi impediva di vederne il viso, ma le sue orecchie diventarono rosse come il fuoco e le sue labbra sembravano sputare fuori dal corpo tutta la nostra rabbia.
Di tanto in tanto batteva anche i pugni sulla scrivania: «era proprio incazzato», pensò qualcuno volgarmente, «ùià in diàu per cavai», bisbigliò un altro in puro dialetto gorzegnese.
Riassumendo, il suo intervento suonava così: «E’ ora che questa gente abbia un po’ di giustizia dopo anni d'inquinamento. E’ ora che chi ha inquinato per tanti anni paghi i suoi sbagli……».
Parole sagge, pensai tra me, stupito come tutti non solo dalle parole, ma soprattutto dalla grinta con cui erano state pronunciate.
Anche Giustina che sedeva accanto a me mi toccò con un gomito e mi manifestò in silenzio il suo entusiasmo.
Ci fu un lungo intervallo, poi si passò alla votazione.
Votazione dall’esito scontato, pensammo, avendo appena sentito gli interventi, ma presto mi resi conto che le cose non andavano per il verso giusto: «Favorevole- contrario- favorevole - contrario……….».
Si andava avanti di pari passo, finche toccò a Tommaso Z. che si alzò in piedi ed espresse il suo voto «contrario».
A me caddero le braccia e a Giustina scappò un: «Tommaso cosa hai fatto?».
Lui si girò e le rispose con poche e chiare parole: «zitta te…..non capisci niente».
Non capiva Giustina, non capivo io, nessuno del pubblico in sala capiva come mai un politico diceva una cosa e faceva il contrario.
«A l’è propi na frasca» (un ramo che si muove a seconda di come tira il vento), mormorò qualcuno in dialetto.
La votazione terminò con 15 voti favorevoli e 15 voti contrari, 9 astenuti.
La gente della Valbormida che da nove ore aspettava pazientemente in silenzio, reagì con un coro di «buffoni…..buffoni» e il Presidente Rossa sospese il Consiglio.
Uno ad uno i consiglieri lasciarono l’aula ma noi decidemmo di non andarcene: «ci portino via di peso come hanno fatto sabato al presidio», commentammo.
Qualcuno di noi restò al suo posto, io, come una trentina di altri presenti, presi posto al tavolo dei consiglieri e feci il mio breve intervento seguito a turno da tanti altri. Passammo poi alla votazione, che ebbe esito positivo.
Intanto da ogni parte della sala spuntavano giornalisti con macchine fotografiche e cineprese. Ci sentivamo tutti importanti e al centro dell’attenzione, seduti su quelle poltrone, abbagliati dal flash e tra gli applausi del pubblico.
Quello strano gioco durò per ben tre ore, tre ore da protagonisti che ci fecero dimenticare per qualche minuto l’ultima umiliazione subita.
Ben presto però, passato l’entusiasmo del momento, ci rendemmo conto che quello non era posto per noi.
C’è chi il buffone lo fa per anni e anni, ma per noi tre ore erano già troppe.
Io (che come Giustina) non capivo niente, volevo tornare alla mia realtà, tra la mia gente con la quale basta guardarsi negli occhi per capirsi, senza bisogno di urlare al microfono e senza battere i pugni sulla scrivania.
Nella mia Valle dove un sorriso e una stretta di mano, hanno più valore di un verbale scritto e firmato.